Perché Spotify non cancellerà le canzoni create dall’intelligenza artificiale
C'è differenza tra la musica creata con o dall'intelligenza artificiale. Forse voleva dire questo Daniel Ek, Ceo di Spotify quando alla Bbc ha spiegato: "Non ho intenzione di vietare completamente i contenuti creati dall'intelligenza artificiale". In realtà è un terreno di sperimentazione che, in parte, è già stato calpestato, ma ora che i software sono in grado di comporre brani a partire da un prompt, imitare le voci degli artisti famosi o masterizzare un album tutto diventa più complicato. E come sempre di mezzo ci sono i soldi.
Il machine learning è entrato di prepotenza in ambiti che finora sono stati una prerogativa della creatività umana. Con programmi come Ibm Watson si può già comporre, mixare, creare basi. C'è poi Aiva, lo abbiamo testato per comporre tre canzoni, e Amper Music che offre “strumenti intuitivi per non-musicisti”. Ma anche Landr che utilizza il machine learning per masterizzare i brani (la fase finale che permette di "far suonare" una canzone con un determinato sound, per esempio adatto alla radio) e programmi sperimentali come Lyrebird e Dadabot dove modificando gli algoritmi è possibile creare generi musicali specifici.
Insomma, l'intelligenza artificiale viene già usata dagli artisti. Negli anni ‘90, Brian Eno e David Bowie usavano i randomizzatori di testi digitali per intercettare frasi capaci di ispirare i loro brani. Il progetto indie rock Yacht ha istruito un sistema di apprendimento automatico con i loro ultimi lavori, i brani preferiti, quelli con cui sono cresciuti (un totale 82 canzoni), che sono state poi mescolate dall'IA che ha generato il loro album Chain Tripping. La cantautrice sperimentale Holly Herndon invece nel 2019 ha presentato Proto, un album in cui si è armonizzata con una versione IA di se stessa. E questi sono tutti esempi positivi di come la musica può essere creata con l'intelligenza artificiale. Passiamo ora al lato oscuro.
Un caso emblematico è Heart on My Sleave, la canzone è falsa, non l’ha scritta Drake, non l’ha scritta The Weeknd, ma se la ascolti sono loro a cantare sopra la base. Il brano è stato composto infatti da un’intelligenza artificiale generativa che ha campionato le voci dei due artisti, dietro al progetto c’è @ghostwriter, un utente che, dopo aver prodotto il brano, ha deciso di caricarlo su tutte le piattaforme. La canzone è diventata virale, su Spotify è stata riprodotta in streaming 629.439 volte prima di essere ritirata. Con il tasso di royalty più basso di Spotify, 0,003 dollari per streaming, @ghostwriter ha guadagnato circa 1.888 dollari. Ora il brano è stato rimosso da Apple, Deezer, Tidal, TikTok, Spotify e YouTube. Sempre alla Bbc Eik ha spiegato: "L'IA non dovrebbe essere utilizzata per impersonare artisti umani senza il loro consenso".
Al di là del guadagno attraverso il plagio bandito da Spotify, potrebbero invece rimanere sulla piattaforma le playlist "originali", create con l'IA. Questo da un lato apre nuove possibilità di monetizzazione per "non musicisti" che usano i software per generare composizioni, nuove possibilità che vanno a scapito di chi invece per anni ha sfruttato competenze specifiche per guadagnare dalle composizioni caricate sulla piattaforma (in questa categoria non rientrano gli artisti che utilizzano l'IA come strumento sperimentale per scrivere canzoni).
C'è un vuoto legislativo
Come ha sottolineato Jani Ihalainen, avvocato specializzato sui diritti d’autore, alla Bbc: "La legislazione attuale non è neanche lontanamente adeguata per affrontare i deepfake e i potenziali problemi in termini di proprietà intellettuale e altri diritti". Tony Rigg, docente e consulente dell'industria musicale, ha aggiunto: "Forse l'aspetto più preoccupante di questo caso è l'indebolimento dei diritti morali. Se qualcuno può imitare te, il tuo marchio, il tuo suono e il tuo stile, potrebbe diventare tutto molto complesso".
Un problema di copyriht
Da mesi Lucian Grainge broker dell'industria musicale e amministratore delegato di Universal, porta avanti una battaglia contro le 100.000 tracce generate dall'IA che ogni giorno vengono caricate sulla piattaforma. Ha spiegato che "il recente sviluppo esplosivo dell'IA generativa, se non controllato, aumenterà sia il flusso di contenuti indesiderati sulle piattaforme sia creerà problemi di diritti rispetto alla legge sul copyright esistente". Michael Nash, chief digital officer di Universal, dopo l'annuncio di Spotify ha dichiarato: "Siamo sempre incoraggiati quando vediamo i nostri partner vigilare sul monitoraggio o sull'attività sulle loro piattaforme."
Ma gli editori di Universal Music Group hanno poi aggiunto: “Da quale parte della storia vogliano stare: dalla parte degli artisti, dei fan e dell'espressione creativa umana, o dalla parte dei deepfake, delle frodi e della negazione agli artisti del dovuto compenso?”.
Cosa sta facendo Spotify
Spotify ha dichiarato: “Lo streaming artificiale è un problema di lunga data a livello di settore che stiamo lavorando per eliminare tutto il nostro servizio. Quando identifichiamo o veniamo avvisati di potenziali casi di manipolazione dello streaming, mitighiamo il loro impatto intraprendendo azioni che possono includere la rimozione dei numeri di streaming e la trattenuta delle royalty. Questo ci consente di proteggere i pagamenti delle royalty per artisti onesti e laboriosi".