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Perché ora il Garante per le Comunicazioni vuole trattare gli influencer come canali tv

I creator hanno la responsabilità editoriale di quello che pubblicano sulle piattaforme e chi svolge il lavoro in modo continuativo dovrà seguire le regole del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi.
A cura di Elisabetta Rosso
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Creano nuove mode, danno consigli, sponsorizzano, bocciano, cambiano il mercato, e di solito lo fanno con una telecamera puntata sul volto, come firma di attendibilità. Finora si sono mossi su un terreno poco trasparente eppure da anni quello dell'influencer è diventato un vero e proprio lavoro, basta cercare su Linkedin Italia per trovare 422 offerte di posizioni aperte. Ora il Consiglio dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), ha deciso all'unanimità di indire una consultazione pubblica "per garantire il rispetto da parte degli influencer delle disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi". In altre parole, inquadrare il lavoro all'interno di una struttura di regole e norme.

Per l'Agcom "la crescente rilevanza e diffusione dell'attività", di influencer, vlogger, streamer e creator, "che creano, producono e diffondono al pubblico contenuti audiovisivi – su cui esercitano la responsabilità editoriale – tramite piattaforme per la condivisione di video e, in generale, tramite social media, ha attirato l'interesse delle istituzioni pubbliche". Già il Parlamento europeo aveva approvato il "decreto influencer". Così è stata ribattezzata dalla stampa la direttiva per proteggere i consumatori dalla pubblicità ingannevole, tra gli obiettivi anche nuove regole per i creator che sponsorizzano prodotti sulle piattaforme. Ora anche l'Italia si muove su questa linea.

"Al fine di favorire una maggiore trasparenza e consapevolezza nei confronti degli stakeholder e del pubblico", il Consiglio ha deciso di regolamentare il settore, e per farlo parte da un presupposto: "Il lavoro dell'influencer funziona in modo analogo a quello dei fornitori di servizi di media audiovisivi". Dovranno quindi rispettare le misure previste dal Testo unico, "dove ricorrano i requisiti evidenziati nel documento sottoposto a consultazione" sottolinea l'Agcom. L'autorità ha infatti suddiviso gli influencer tra chi "propone contenuti audiovisivi in modo continuo, tale da renderli sovrapponibili a un catalogo di un servizio di media on-demand (ad esempio, i canali YouTube)", e chi invece "opera in maniera meno continuativa e strutturata". I primi dovranno aderire a tutti gli obblighi previsti dal Testo Unico, tra questi: l'iscrizione al Roc (il registro degli operatori di comunicazione), la disciplina in materie di opere europee e indipendenti, la Scia (segnalazione certificata di inizio attività). Per tutti gli altri invece non è prevista "l'applicazione nella sua interezza del regime giuridico dei servizi di media audiovisivi".

Il caso degli influencer non pagati

Non solo doveri, gli influencer hanno anche bisogno di tutele. A gennaio su TikTok sono cominciati a spuntare video di creator che denunciavano di non aver ricevuto il compenso per i loro lavori. Tutti lavoravano per la stessa agenzia di management. Luca Lattanzio, che ha un canale da 1,7 milioni di iscritti attivo da dieci anni ha spiegato tutto a Fanpage.it: “All’inizio è andato tutto bene. L’agenzia faceva da tramite tra noi e i brand. I clienti pagavano e noi prendevamo i compensi. Poi i pagamenti hanno cominciato a non arrivare”.

Ha poi aggiunto: “Il problema era anche che nessuno dei creator parlava con gli altri. Pensavamo tutti che questa situazione riguardasse soltanto noi. Un po’ ti vergogni a dire di essere stato truffato”. Qualcosa di simile è successo anche a Beatrice Cossu, una delle protagoniste della terza edizione del Collegio che ora ha un profilo TikTok con 818.000 follower. “Prima tardavano, poi si sono bloccati del tutto. Mi venivano date scuse assurde, dal pc rotto in azienda ai dipendenti che avevano preso il Covid. Una dipendente mi ha anche detto che non poteva pagarmi perché era in burnout. Alla fine me ne sono andata”. Ha spiegato a Fanpage.it

Il primo sindacato per la categoria

Quest'anno è nato anche il primo sindacato degli influencer. Jacopo Ierussi e Valentina Salonia hanno aperto il primo sindacato degli influencer: Assoinfluencer. L’obiettivo è quello di iniziare una campagna per far riconoscere questa professione. Non solo sarà più facile per i creator pagare le tasse ma anche le aziende sapranno come tararsi negli investimenti per la pubblicità sui social. "Il nostro primo obiettivo è quello di avere un codice Ateco di riferimento, un codice che sia riconoscibile anche da tutta la pubblica amministrazione", aveva spiegato Ierussi a Fanpage.it, il codice Ateco è anche una soluzione per offrire ammortizzatori sociali o agevolazioni fiscali per i creator.

Quanto guadagnano i creator

L'agenzia di marketing DeRev ha pubblicato una tabella dei compensi che in media vengono percepiti dai creator in base alla loro community di riferimento. Sono soggetti a una lunga serie di variabili che nel corso del tempo hanno reso difficile inquadrare se effettivamente si può fare solo l'influencer come professione. Il dato più significativo è l’Engagement Rate, che definisce il tasso di coinvolgimento degli utenti, dato che i social sono diffusi in Italia da oltre dieci anni spesso può capitare che alcuni creator guadagnino molti follower in una fase iniziale ma con il tempo le loro community comincino a disperdersi. È quindi importante calcolare non solo il numero ma anche considerare l'interazione dei e con i follower.

A grandi linee possiamo dire che su Instagram chi ha tra i 5.000 e i 10.000 follower, ovvero i micro-influencer guadagnano tra i 100 e i 300 euro a post e 50-100 a story, dall'altra parte della classifica ci sono gli account con oltre 5 milioni di follower: 20.000-75.000 euro a post e 7.500-30.000 euro a story. Su TikTok invece, c'è un impatto economico minore, chi ha tra i 5.000 e 10.000 follower guadagna 50-250 euro a video, gli over 5 milioni, 18.000-75.000. Ad ogni modo decisamente oltre uno stipendio medio di una professione "tradizionale".

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