Perché Maduro vuole bloccare WhatsApp in tutto il Venezuela: “Lo usano i fascisti”
Sotto una forte pioggia, durante il raduno della sezione giovanile del partito, Nicolàs Maduro ha chiesto un "ritiro volontario, progressivo e radicale" da WhatsApp. "A poco a poco sposterò i miei contatti su Telegram e WeChat. Mi avete capito? Dobbiamo farlo. Dite no a WhatsApp", ha detto il presidente del Venezuela ai suoi sostenitori durante il comizio."Attraverso WhatsApp stanno minacciando la famiglia militare, la polizia, i leader di strada, la comunità, chiunque non si dichiari a favore del fascismo", ha detto. Non solo, secondo Maduro anche TikTok e Instagram vengono utilizzati per promuovere "l'odio", ha quindi promesso di regolamentarne l'uso.
Un po' di contesto. L'attacco alle piattaforme social arriva dopo un'ondata di repressione da parte del regime in seguito alla vittoria di Maduro. I "fascisti" citati nel discorso di Maduro sarebbero la leader dell'opposizione María Corina Machado e il suo candidato sostituto Edmundo González. Lunedì mattina, il pubblico ministero Tarek William Saab ha annunciato che avrebbe aperto un'indagine contro Machado e González, tra le contestazioni quelle di "usurpazione di funzioni, diffusione di informazione falsa per diffondere il panico, istigare alla disobbedienza delle leggi e all'insurrezione, associazione a delinquere e cospirazione". González e Machado hanno chiesto all'esercito e alla polizia di "schierarsi con il popolo", denunciando "la vittoria elettorale fraudolenta" e "il colpo di stato di Maduro". E qui entrano in gioco i social e le app di messaggistica.
Perché Maduro vuole bloccare i social
Quello di Maduro è un passo indietro. Il presidente infatti aveva deciso di utilizzare WhatsApp per lavorare sulla sua immagine in vista delle elezioni. L'ultimo messaggio inviato sull'app di messaggistica risale al 30 luglio. Aveva scritto "la gente si è lanciata in piazza contro la violenza e il fascismo… Dio è con noi… La pace vincerà". Poi proprio sul social che voleva colonizzare è fiorito il dissenso.
Maduro dopo la vittoria ha dichiarato che i contenuti sui social media promuovevano "fascismo", "divisione" e "minacce". Non solo: "I fascisti hanno usato il processo elettorale per diffondere odio su TikTok e Instagram. Ricordo a TikTok e Instagram la loro responsabilità nel diffondere odio per dividere i venezuelani". Ha chiesto al suo Consiglio di sicurezza "raccomandazioni" per regolamentare i social media e fermare il "criminale colpo di stato cyber-fascista". Maduro, che ha anche accusato Elon Musk, Ceo di X, di aver orchestrato gli "attacchi contro il Venezuela" e di essere dietro un "enorme hackeraggio" del sistema del Consiglio elettorale nazionale (CNE).
"Vogliono intimidirci per impedirci di comunicare, perché se fossimo isolati saremmo molto più deboli e questo non accadrà", ha spiegato Machado sui social media. E infatti il 29 luglio, durante le proteste, sui social sono comparsi video delle manifestazioni e messaggi contro Maduro. "Gli utenti hanno utilizzato questa piattaforma come una finestra per informare se stessi e gli altri su ciò che sta accadendo nel paese", ha sottolineato David Aragort, esperto di sicurezza digitale presso la ONG Redes Ayuda. "Sono iniziate ad apparire trasmissioni in diretta di cose che non troverete in nessun media nazionale tradizionale".
La guerra ai media ha una lunga storia
I social e le app di messaggistica hanno avuto un ruolo chiave per la resistenza, di conseguenza hanno pagato il prezzo della repressione. Non è la prima volta che Maduro cerca di bloccare le piattaforme. Secondo i gruppi di monitoraggio di Internet CANTV, il provider Internet statale che permette di accede al Web, negli anni è stato bloccato, il governo ha anche limitato l'accesso a determinati siti Web, tra cui Twitter e Instagram. Piattaforme utilizzate dagli oppositori per mobilitare le crescenti proteste contro Maduro.
Anche YouTube, il motore di ricerca Bing, il servizio di streaming video in diretta Periscope e i servizi di chat e messaggistica gestiti da Google sembrano essere stati bloccati dal regime autoritario per reprimere il dissenso online. Non solo, bloccare singoli servizi, come social media o app di messaggistica è molto semplice quando ci sono pochi grandi fornitori di telecomunicazioni in un Paese.
Michael Camilleri, direttore del think tank Inter-American Dialogue con sede a Washington ha spiegato: "Il governo venezuelano, ormai da anni, ha sostanzialmente cooptato o messo a tacere qualsiasi media indipendente nel paese. Quindi Internet è diventata una fonte essenziale di informazioni per chiunque non voglia prendere per vera la propaganda governativa", ha affermato.