Perché l’anguria è diventata il simbolo della Palestina sui social
Sotto la foto dei feriti di Gaza c'è l'emoticon di un'anguria, anche vicino alla didascalia "cessate il fuco", nel tweet "Palestina libera", in mezzo agli appelli di pace o ai racconti dei crimini di guerra. C'è sempre un'anguria. Tutto inizia con una rispostaccia a un ufficiale israeliano. L'esercito fa irruzione durante una mostra d'arte nella Galleria 79, a Ramallah. Chiude l'evento, dentro ci sono opere che utilizzano i colori della bandiera palestinese. "E se volessi solo dipingere un'anguria?", chiede in modo provocatorio un artista. La risposta consacra il simbolo: "Anche se dipingi un'anguria, verrà confiscata".
Molti utenti stanno utilizzando l'emoji per aggirare la censura sui social. Al posto degli hashtag #freepalestine o #fromtherivertothesea appare l'anguria. L'hashtag dell'anguria ora ha oltre un miliardo di visualizzazioni su TikTok. Certo, probabilmente alcuni contenuti legati a questo hashtag avranno solo un senso ortofrutticolo. Ma l'anguria è entrata nell'immaginario della Palestina ben prima dei social e dell'algospeak.
Come funziona l'algospeak
L'algospeak viene usato dagli utenti per impedire che i post vengano rimossi o nascosti sui social. Si dice "non vivo" invece di "morto", "SA" al posto di "violenza sessuale" e la "melanzana piccante" è un altro modo per chiamare il "vibratore". Parole come “Palestina”, “genocidio” e “Hamas” vengono tradotte in un'altro linguaggio che sta diventando sempre più strutturato, si usano numeri, storpiature, asterischi, emoji e assonanze. L'algospeak è necessario per aggirare la censura sui social, sempre più utenti dall'inizio della guerra hanno segnalato di essere stati bannati o bloccati quando hanno cominciato a condividere contenuti pro Palestina. E così al posto dei tag espliciti compaiono le angurie.
La campagna Filter for Good
L'anguria è diventata anche la protagonista di un nuovo filtro su TikTok, creato dall'artista Jourdan Louise. Ha promesso agli utenti che tutti i proventi derivanti dalla monetizzazione del filtro saranno destinati a fornire aiuti umanitari a Gaza. Nel video di lancio di "FILTER FOR GOOD", ha chiesto ai follower di utilizzare il filtro e interagire, è già stato utilizzato in oltre 970.800 video. Il filtro è molto semplice, compare un'anguria sullo schermo e con il dito bisogna tracciare un percorso predefinito per far raccogliere i semi alla fetta. Gli utenti si filmano con il filtro e scrivono: "Usiamolo, chi l'ha creato donerà i guadagni ai palestinesi".
Quando l'anguria diventa il simbolo della Palestina
Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, le autorità israeliane hanno vietato ai palestinesi i raduni a scopo politico. I parametri vaghi, hanno di fatto criminalizzato qualsiasi forma di protesta, anche quelle pacifiche. Non solo, l'ordinanza vietava anche l'esposizioni di bandiere o simboli politici senza il permesso dell'esercito israeliano. La ceramista Vera Tamari disse al Guardian nel 2002 che l'applicazione spesso dipendeva "dal giudizio artistico del particolare ufficiale responsabile".
Per aggirare il divieto i palestinesi cominciarono a utilizzare i colori nazionali nelle loro opere d'arte, quadri, manifesti, murales. Il verde, il rosso e il nero, tornavano sempre. Nel 1980 l'esercito israeliano chiuse una mostra a causa di un'opera considerata "politica". Leggenda vuole che Issam Badr, uno degli artisti presenti, abbia chiesto a un ufficiale: "E se volessi solo dipingere un'anguria?". "Anche se dipingi un'anguria, verrà confiscata", rispose.
L'anguria nella storia palestinese
Parte da una risposta provocatoria e diventa simbolo. Nel 1993, per esempio, quando Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina firmarono gli accordi di Oslo, sembra che i palestinesi siano scesi per le strade di Gaza trasportando fette di anguria. Anche durante la Seconda Intifada nei primi anni 2000 il frutto è diventato una dichiarazione politica. L'anguria è anche alla base di molti piatti tipici palestinesi, per esempio il fatet ajer, spesso le angurie acerbe vengono stufate con melanzane, pomodori e peperoni.
L'artista Khaled Hourani ha creato una collezione di serigrafie intitolata “La storia dell'anguria”, pubblicata in un libro sulla cultura palestinese nel 2007. Hourani, durante un'intervista con The National ha raccontato: “C’è chi si è fatto tatuare l'anguria, chi ci decora i vestiti, chi la mette sulle bandiere. Sono felice che la mia opera contribuisca a far luce sulla questione palestinese”.