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Perché i videogiochi in Italia sembrano sempre un fenomeno di nicchia

Alessandro Redaelli è il regista di Game of the Year, il documentario pubblicato su Amazon Prime sullo stato dei videogiochi in Italia. Con lui abbiamo fatto il punto del settore dei videogiochi in Italia tra professioni in ascesa e percezioni del pubblico.
Intervista a Alessandro Redaelli
Regista di Game of the Year
A cura di Lorena Rao
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Di docu-film sui videogiochi non ce ne sono tanti. Tranne che in Italia. Per questo Game of the Year di Alessandro Redaelli, regista già apprezzato per Funeralopolis, è un esperimento di grande valore. “Sappiamo bene che parliamo della prima industria dell'intrattenimento mondiale, per cui come è possibile che se ne parli così poco al di fuori della nicchia di appassionate e appassionati?”, ci dice il regista durante un’intervista su Skype. Il docu-film, disponibile su Prime Video (a cui si aggiungono alcuni episodi collaterali disponibili su YouTube chiamati “DLC”), riesce a dare uno spaccato del panorama videoludico italiano focalizzandosi sul lavoro dei content creator, streamer, pro-player di esport, sviluppatori e sviluppatrici.

Tra questi emergono figure di successo, quali il campione mondiale di StarCraft Riccardo "Reynor" Romiti, i content creator Michele "Sabaku No Maiku" Poggi, Laura "Phenrir Mailoki" Arlotta e  lo streamer Mattia "Attrix" Attrice, ma anche aspiranti sognatori e sognatrici costretti a scontrarsi contro la dura realtà fatta di piani budget, deadline e incomprensione del pubblico, se non della famiglia stessa.

GAME OF THE YEAR | Riccardo "Reynor" Romiti
GAME OF THE YEAR | Riccardo "Reynor" Romiti

Una produzione che si sofferma sul lato umano che c’è dietro al mondo spettacolare e stroboscopico dei videogiochi, molto spesso dimenticato, se non addirittura nemmeno contemplato. Eppure dietro a mondi, musiche, personaggi e meccaniche penetrate nel cuore di milioni di appassionate e appassionati ci sono persone spinte dal desiderio di voler dire qualcosa attraverso il linguaggio videoludico. “Sono convinto che Game of the Year non sia un film sul videogioco ma un film su persone che cercano di realizzare qualcosa, o meglio, di realizzarsi attraverso il videogioco”, ci dice Redaelli. Perché i videogiochi non sono solo le immagini su schermo con cui interagiamo, ma strumenti attraverso cui è possibile esprimere se stessi e trovare il proprio posto nel mondo.

Il videogioco in Italia: alla ricerca di un'identità

“Il videogioco è un mezzo espressivo molto molto potente e abbiamo quasi il dovere morale di dire qualcosa, oltre a far giocare”. Lo afferma Diego Sacchetti, game designer che ha lavorato con Matteo Corradini (The Pills) al videogioco The Textorcist, ripreso da Redaelli durante la partecipazione in un festival. Una volontà evidente anche nelle altre storie di sviluppatori e sviluppatrici presenti nel docu-film, tra i quali lo studio romano Yonder e quello pavese Kibou Entertainment. Visioni splendide, profonde, personali, che però vanno a infrangersi con una serie di problemi, a partire dalla ricerca del budget. E così, i piccoli team di sviluppo italiani devono a girare per le fiere d’Italia e d'Europa con l’obiettivo di trovare un publisher che finanzi il progetto dopo aver lavorato per mesi a una demo. Dopo, se si riesce, ci sono le deadline. Dopo ancora il riscontro del pubblico dopo il lancio.

GAME OF THE YEAR | il regista Alessandro Redaelli
GAME OF THE YEAR | il regista Alessandro Redaelli

Adesso il videogioco italiano inizia ad avere la sua identità, ma la situazione resta complessa. Passata l’eccezionalità della pandemia, il medium sembra essere ritornato allo status di passatempo, registrando nel 2022 un calo in termini di fatturato e soprattutto di pubblico, nonostante la crescita dell’industria a livello nazionale. Serve una nuova consapevolezza che rispecchi la maturità che negli anni il videogioco ha acquisito. “Deve partire dalle istituzioni, sia tramite la cultura legata al videogioco, sia coi finanziamenti”, sottolinea Redealli, in questo modo, accanto a un blockbuster di matrice italiana, è possibile creare al contempo nuove sperimentazioni che rendano gli studi di sviluppo italiani competitivi nel panorama internazionale. Cosa che Paesi europei come Francia, Turchia, Inghilterra e Polonia hanno capito da anni, sfornando successi a livello globale come The Witcher ma anche perle sperimentali come This War of Mine, il videogioco sulla guerra utilizzato come lettura nelle scuole.

Il ruolo del pubblico

Questa situazione non dipende solo dal sostegno delle istituzioni, ma è legata anche al pubblico. Nel DLC di Game of the Year pubblicato di recente, "La voce del popolo", quando Redaelli chiede agli intervistati e alle intervistate se ritengono il videogioco una forma d’arte, la maggior parte risponde “no", perché viene recepito solo come passatempo per divertirsi in compagnia, aggiungendo spesso che non debba aspirare a essere altro. Durante il docu-film, un utente, dopo aver provato Hell is Others di Yonder, un roguelike multiplayer fortemente simbolico ispirato al filosofo francese Jean-Paul Sartre, dice agli sviluppatori che il gioco sembra “un mappazzone” e non si capisce cosa sia.

GAME OF THE YEAR | Il videogioco Hell is Others
GAME OF THE YEAR | Il videogioco Hell is Others

“Questa cosa riflette un po' quello che è l'industria italiana, lato creatori e pubblico. Un pubblico non solo poco informato e alfabetizzato ma anche un pubblico che non riesce a vedere il videogioco come uno strumento di comunicazione”, afferma con rammarico Redaelli. Non solo, a complicare le cose c’è la narrazione che da anni ha accompagnato il videogioco, rendendolo un qualcosa di infantile se non pericoloso agli occhi dell’opinione pubblica. “S'è parlato per decenni del videogioco che isola e che fa male ai bambini. Molte persone hanno interiorizzato questa narrazione e di contraccolpo hanno cominciato a difendersi da questo ragionamento”, ci ha detto Redaelli. Non occorre andare troppo lontano per trovare esempi di demonizzazione del medium: ad aprile il 2022 il senatore di Forza Italia Andrea Cangini paragonava i videogiochi alla cocaina, a cui è seguita una  lettera aperta di specialisti del settore e non solo come risposta.

La scena underground del videogioco in Italia

Occorre precisare che Game of the Year è stato girato tra il 2018 e il 2019, prima che la pandemia facesse scoprire (o riscoprire) il medium videoludico a tante persone. Qualcosa oggi si muove, soprattutto nella scena underground videoludica. Sul fronte critica, Redaelli cita Gekigemu, un canale noto nella nicchia per il Blob Videoludico, un format video che riprende la struttura dello storico programma di Enrico Ghezzi per mettere in evidenza la narrazione sensazionalistica della critica videoludica italiana. Questo giugno invece c'è stata la prima edizione di Zona Warpa, che vede la partecipazione del traduttore e streamer Fabio “Kenobit” Bortolotti, la sviluppatrice Claudia Molinari dello studio milanese We Are Müesli e il musicista Riccardo "Rico" Gamondi del gruppo torinese Uochi Toki. Si tratta di un evento no-profit, dotato di un suo manifesto, che celebra il videogioco al di fuori delle logiche del profitto, coinvolgendo diverse città di Italia, tra le quali Milano, Genova, Firenze, Roma e Napoli. In questo discorso di iniziative rientra pure Invisibil3, l’evento tenutosi a Firenze lo scorso aprile per promuovere l'inclusività nei giochi.

Gli esempi fatti non possono contare sui numeri grossi del mainstream, ma già per il solo fatto che esistano testimoniano delle esigenze concrete nel nostro paese. Bisogna vedere se il coraggio e le ambizioni di diverse persone riusciranno a scuotere il suolo italiano, acerbo ma senza dubbio promettente. Del resto,  "siamo condannati a riuscirci", come dice in Game of the Year il game designer Giuseppe Mancini.

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