Perché continuiamo a sfruttare gli animali nei videogiochi?
Una volta fatto il primo accesso nel mondo di Palworld, il gioco ci chiede di catturare un Pal selvatico. Per farlo dobbiamo prima indebolirlo. Essendo ancora all’inizio, l’attrezzo più sofisticato che abbiamo è una mazza di legno, che comunque si rivela sufficiente per stordire una delle creaturine selvatiche a forma di pecora che circondano il nostro rifugio. Una volta tolto un adeguato numero di punti vita, possiamo lanciare l’apposita sfera per far sì che il Pal diventi di nostra proprietà.
Di Pal ne possiamo avere sei in tutto, il resto finisce nel box, dove può essere adibito a svolgere mansioni utili alla progressione del rifugio, come raccolta di materiali e costruzioni. Nonostante tutto questo venga mascherato da un’estetica graziosa e cartoon, nel profondo turba: è sfruttamento degli animali, seppur all’interno di un videogioco. Un discorso simile può essere applicato anche alla principale ispirazione di Palworld, Pokémon: nei giochi di Game Freak preleviamo dal loro ecosistema naturale i vari mostriciattoli tascabili per usarli come strumento di lotta e intrattenimento.
Il ruolo degli animali nei videogiochi
Per quanto parliamo di creature virtuali che non esistono nella realtà, il modo in cui gli animali vengono utilizzati e rappresentati all’interno dei videogiochi è spesso stato al centro di diversi studi accademici nonché dibattiti online. Già nel 2000, il filosofo Matthew Elton si chiedeva se i vegani potessero giocare ai videogiochi nonostante la violenza che viene perpetrata ai danni della fauna videoludica. La risposta è no, eticamente per Elton le due cose sono inconciliabili. In effetti nei videogiochi gli animali non se la passano benissimo. Da icone protagoniste degli anni ‘80, ‘90 e 2000, con la crescita dell’età degli appassionati parallela al progresso tecnologico che ha investito lo sviluppo videoludico, gli animali hanno lasciato il posto ad eroi maturi, chiaramente umani, per diventare elementi di contorno di mondi sempre più grandi, realistici, vivi. Anzi, più che contorno, è il caso di parlare di trofei.
Sia nei titoli dedicati specificatamente alla caccia, ad esempio Monster Hunter o Hunting Simulator, che in open world come Final Fantasy 15, Red Dead Redemption 2 e Assassin’s Creed Valhalla, le creature devono essere stanate e uccise per ottenere ricompense e migliorie per il personaggio. Ci sono poi casi divenuti eclatanti, come la lotta di galli in Far Cry 6, titolo di Ubisoft del 2021 ambientato in un’isola ispirata a Cuba. “Trasformare un orribile sport sanguinario come il combattimento di galli in una partita di videogiochi in stile Mortal Kombat è ben lungi dall'essere una vera innovazione, poiché la società di oggi è fortemente contraria a costringere gli animali a combattere fino alla morte" ha detto giorni dopo il lancio del gioco Alicia Aguayo, dirigente della divisione America Latin.
Nelle parole di Aguayo emerge un termine importante, ossia “società”. I media, come i film, i fumetti e i videogiochi, rispecchiano la società, i suoi valori e le sue criticità. L’uso e l’eliminazione “for fun” o per ottenere risorse è uno specchio, forse esasperato ma attendibile, della cultura capitalista predatoria che viviamo. In “The ethics of human-chicken relationships in video games: the origins of the digital chicken”, studio del 2016 condotto da Tyr Fothergill e Catherine Flick, emergono delle rappresentazioni predominanti dei polli nei videogiochi: come prodotti alimentari, spesso presenti sotto forma di cosciotti in stile cartoon; polli come uccelli domestici, ad esempio i chocobo di Final Fantasy, spesso utilizzati in battaglia al posto dei cavalli.
Perché questa presenza massiccia di polli nei videogiochi? La risposta risiede sempre nella realtà: il 2023 ha visto una diminuzione del 51% del consumo di carne in Europa, ad eccezione di quella di pollo, il cui mercato è in crescita da anni, nonostante l’inflazione. Questo perché è più economica e meno dannosa per la salute rispetto alle carni di altri animali. È chiaro tuttavia che a una tale crescita segue un'espansione degli allevamenti intensivi, a loro volta particolarmente dannosi per l'ambiente, nonché per la salute degli animali e dell'essere umano.
In generale, come sottolineato da Michael Swistara, gamer attivista per i diritti degli animali, molti giochi utilizzano la carne come materiale di consumo, senza mostrare il processo di trasformazione di un animale vivo e senziente in un pezzo di carne, come in Runescape. Nel titolo multiplayer online, le mucche abbattute si trasformano all’improvviso in pezzi di carne cruda a forma di bistecca. Proprio come accade nella vita reale, in qualsiasi supermercato o macelleria: la carne è già pronta per il consumo, cancellando di fatto il trasporto coatto, la macellazione e lo smembramento a cui è sottoposta la mucca prima di finire in un piatto sotto come bistecca.
Come sta cambiando la rappresentazione degli animali nei videogiochi
Fin qui il discorso sembra desolante. Tuttavia le nuove sensibilità che stanno coinvolgendo la società globale permettono approcci alternativi nei confronti degli animali, non solo in ottica alimentare, ma soprattutto etica. Prende sempre più piede la corrente antispecista che promuove uno stile di vita nel rispetto della natura, che colloca l’uomo alla pari degli altri essere viventi. Una netta opposizione alla visione specista, formulata negli ‘70 e usata come pilastro dell’ideologia capitalista, secondo cui gli esseri umani sono superiori per status e valore agli altri animali, e pertanto devono godere di maggiori diritti. In questo discorso rientrano anche pratiche alimentari quali il veganesimo e il vegeterianesimo. Come impatta tutto questo nella rappresentazione mediale?
Sin dagli anni ‘90 esistono titoli del panorama mainstream che pongono in ottica critica lo sfruttamento degli animali. Tra questi c’è Oddworld: Abe’s Odyssey, capolavoro dell’era PlayStation, in cui nei panni di un alieno dobbiamo portare in salvo gli altri compagni e fuggire da un industria da macello, perché il prodotto da consumare, in questo caso, siamo noi. Sempre nel parco di esclusive Sony, di PlayStation 4 per la precisione, occorre menzionare The Last Guardian di Team Ico, diretto dal noto game designer Fumito Ueda. Nel gioco comandiamo un bambino e, indirettamente, Trico, una gigantesca creatura mezza cane e mezza uccello.
A differenza di molti giochi con compagni animali, in cui il companion si limita a eseguire i comandi impartiti, in The Last Guardian Trico ha una sua personalità, non risponde necessariamente ai comandi richiesti e ha bisogno dei suoi tempi. Il fulcro dell’intera esperienza è infatti la costruzione del rapporto tra il protagonista e l’animale, inteso come essere senziente.
Altro titolo, ancora più recente, incentrato sul rispetto dell’ecosistema e sulla critica dell’inquinamento umano, è Abzu. Una piccola produzione dal grande valore artistico e contenutistico dove esplorare i mari e nuotare in sinergia con le creature che lo abitano. Negli ultimi anni abbiamo assistito anche alla ripresa di animali protagonisti, ora non più antropormorfizzati come lo erano i vari Donkey Kong, Crash Bandicoot o Sonic. In Untitled Goose Game siamo un’oca che deve vivacizzare la tranquilla vita di provincia in un paesino inglese tramite scherzetti. L’effetto è esilarante, quasi da cinema anni '20, perché operiamo in quanto oca. Ben più noto è il caso di Stray, il videogioco cyberpunk con protagonista un gatto randagio, in cui avanziamo sfruttando le sue peculiarità feline.
I numerosi esempi fatti non devono trarre in inganno. Ad oggi sono ancora eccezioni. Inoltre, tolti Oddworld e The Last Guardian, sono piccole produzioni, più inclini alla sperimentazione e all’utilizzo di prospettive inedite rispetto al mercato videoludico mainstream, che invece predilige un'altra strada. Il successo di Palworld ne è la dimostrazione.