Perché continuate a leggere sui social G4z4, Isra3l3 e P*lestin4
G4z4, Isra3l3 e P*lestin4, fanno parte di una lingua diversa fatta di numeri, storpiature, asterischi, emoticons e assonanze. Si chiama algospeak e viene usata dagli utenti per impedire che i post vengano rimossi o nascosti sui social. Parole come “Palestina”, “genocidio” e “Hamas” vengono tradotte in un'altro linguaggio che da tempo cova nelle community del web e sta diventando sempre più strutturato. Si dice "non vivo" invece di "morto", "SA" al posto di "violenza sessuale" e la "melanzana piccante" è un altro modo per chiamare il "vibratore". I sistemi algoritmici di moderazione dei contenuti hanno avuto un impatto determinante sulle parole che scegliamo e hanno spinto gli utenti a creare una nuova lingua esopica. E come spesso succede la parole sostitutive entrano nello slang comune ancorandosi alla lingua tradizionale.
"Abbiamo iniziato a rimuovere i punti dai post in arabo", ha detto un utente egiziano, solidale con la causa palestinese, al Washington Post. "Mescoliamo le lettere inglesi con le lettere arabe." Gli utenti che hanno condiviso l'intervista della giornalista Mariam Barghouti, che criticava il modo in cui le testate internazionali stanno coprendo la guerra Israele-Gaza, hanno usato le abbreviazioni “P*les+in1ans” e “t*rr0rist+s” al posto di “Palestinesi” e “terroristi”. C'è anche chi inizia i post con: “Io sto con Israele” e poi va avanti scrivendo invece contenuti pro Palestina.
Come ingannare l'algoritmo
Gli utenti devono essere sempre più creativi per eludere i filtri. A un certo punto le piattaforme cominciano a capire che le persone dicono “seggs” invece di “sex”, e anche le parole sostitutive vengono contrassegnate. Non è chiaro come funzioni il meccanismo, ma ciclicamente diversi utenti si sono dovuti reinventare dopo aver notato che i post venivano comunque oscurati nonostante l'algospeak. Ma si tratta sempre di macchine che, alla fine, non sono poi così intelligenti.
"La realtà è che le aziende tecnologiche utilizzano strumenti automatizzati per moderare i contenuti da molto tempo e, sebbene venga pubblicizzato come un sofisticato apprendimento automatico, spesso è solo un elenco di parole che ritengono problematiche", ha spiegato Ángel Díaz, docente presso la School of Law dell'UCLA. Ci sono infatti su Google documenti condivisi con elenchi di parole problematiche per i sistemi di moderazione. Ora sempre più utenti promuovono algospeak per ingannare l'algoritmo e parlare del conflitto tra Israele e Hamas sui social. Anche noi abbiamo provato a farci bloccare.
La censura sui social
Aya Omar, esperto di intelligenza artificiale, ha detto al New York Times di non riuscire a vedere gli account dei media palestinesi che segue regolarmente perché Meta e Instagram hanno bloccato gli account. Alcuni utenti hanno segnalato che Facebook sta sopprimendo anche profili pacifisti e boicottando sit-in organizzati sul social. "Instagram e Facebook stanno oscurando i post sulla guerra tra Israele e Palestina, a volte dicendo che i blocchi sono dovuti a difficoltà tecniche", ha spiegato invece il think tank Hampton Institute in un post su X. E infatti Meta aveva sottolineato che a causa di un bug alcuni contenuti erano stati temporaneamente sospesi. Andy Stone, portavoce di Meta, in un post su X ha aggiunto: "Questo bug ha interessato gli account in egual misura in tutto il mondo e non aveva nulla a che fare con l'argomento del contenuto: l'abbiamo risolto il più rapidamente possibile."
Le strategie adottate dagli utenti
Oltre all'algospeak, la pratica più diffusa, sui social gli utenti danno anche altri consigli. Nol Collective, un collettivo palestinese che lavora nel mondo della moda, ha invitato i follower a fare gli screenshot dei post sulla Palestina invece di condividerli direttamente sulle storie. C'è chi sceglie altri social per diffondere post sulla Palestina. Per esempio LinkedIn, altri hanno trasformato i profili delle celebrità in nicchie sicure dove condividere notizie e opinioni sulla guerra. In primis l'account di Beyoncè, con 318 milioni di follower. Tra i commenti sotto i suoi post sono stati incollati messaggi su quello che sta succedendo in Palestina.
I precedenti di Meta
Meta aveva già avuto lo stesso problema a maggio 2021. L'organizzazione Human Rights Watch aveva infatti accusato Instagram di aver rimosso video, immagini e commenti filo-palestinesi. In un rapporto sui diritti umani in collaborazione con la Business for Social Responsibility (BSR) pubblicato nel settembre 2022 spiega: "Le azioni di Meta sembrano aver avuto un impatto negativo sui diritti umani e sui diritti degli utenti palestinesi, tra questi la libertà di espressione, libertà di riunione, partecipazione politica e non discriminazione, e quindi sulla capacità dei palestinesi di condividere informazioni e approfondimenti sulle loro esperienze così come si sono verificate".
Durante il conflitto, la polizia israeliana aveva fatto irruzione nella moschea di al-Aqsa, un luogo sacro musulmano a Gerusalemme. Mentre gli utenti inondavano i social network di Meta con resoconti di prima mano degli scontri tra Israele e Hamas, Instagram ha iniziato a limitare i contenuti con l'hashtag #AlAqsa. Anche in questo caso Meta aveva attribuito il blocco a un problema tecnico.