Perché con l’intelligenza artificiale le donne rischiano di perdere il lavoro più degli uomini
È il paradosso del progresso, le aziende crescono, vengono sfornati prodotti tecnologici sempre più performanti, inventate nuove terapie, automatizzati i lavori pesanti. Ma niente di tutto questo viene tradotto in miglioramenti dello standard di vita. Anzi. A pagare il prezzo rimangono i più deboli. Uno studio pubblicato dal McKinsey Global Institute ha spiegato che entro il 2030 determinati lavori verranno messi a rischio dall‘intelligenza artificiale. Tra questi i servizi di ristorazione, il servizio clienti, le vendite e il supporto per gli uffici, i lavori (come spiega lo studio) svolti principalmente dalle donne. "I loro posti di lavoro entro il 2030 potrebbero ridursi, da 3,7 milioni e 2,0 milioni", e quasi otto donne su dieci perderanno o saranno costrette a cambiare la loro occupazione a causa dell'intelligenza artificiale. In generale "i lavoratori meno retribuiti saranno quelli più esposti".
D'altronde l'innovazione cresce in modo confuso e spesso sono più alti i costi rispetto ai benefici, prima che si stabilizzi all'interno di un sistema. È troppo ottimista chi scaccia ogni paura appellandosi a un neoliberismo selvaggio. L'idea è che tutte le rivoluzioni tecnologiche abbiano sia distrutto sia creato nuovi posti di lavoro, (e che anche questa volta avverrà un riequilibro quasi naturale del sistema). Chi la sostiene però non fa bene i conti con gli effetti collaterali di un assetto falsato in principio dalle disuguaglianze sociali.
Il rapporto di McKinsey
Non solo donne, lo studio spiega che anche i lavoratori neri, ispanici, e senza una laurea sono a rischio. I dipendenti a basso salario saranno più vulnerabili. Chi guadagna meno di 38.200 dollari potrebbe perdere il lavoro. Secondo il rapporto McKinsey tra questi ci sono venditori al dettaglio, cassieri, professioni d'ufficio, entro il 2030, saranno almeno 12 milioni i lavoratori che verranno licenziati.
Lo studio spiega che per superare l'ondata di automazione le persone più esposte dovranno ampliare le loro competenze per rimanere appetibili sul mercato. E anche qui il paradosso, perché la fascia di popolazione con gli stipendi più bassi è anche quella che ha meno opportunità di acquisire nuove competenze. Allo steso tempo, il rapporto McKinsey suggerisce alle aziende di formare il proprio personale, per consentire una transizione interna una volta integrati i sistemi di intelligenza artificiale.
I lavoratori avvantaggiati dall'intelligenza artificiale
D'altro canto il numero di posti di lavoro più remunerativi potrebbe crescere fino a 3,8 milioni. Infatti l'arrivo dell'IA avrà anche effetti positivi sul mondo del lavoro. Per i colletti bianchi l'intelligenza artificiale potrebbe diventare un'alleata capace di svolgere i compiti ripetitivi e dar loro più tempo per occuparsi di lavori strategici e creativi. Secondo il rapporto saranno gli avvocati e gli ingegneri a trarre maggior vantaggio. "Vediamo che l'IA generativa migliora il modo in cui lavorano i professionisti STEM, creativi, aziendali e legali", hanno scritto gli autori. Campi che, secondo il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, sono dominati da uomini. Nel 2022, le ingegnere civili erano solo il 17,1%, e le avvocate, il 38,5%.
Non solo, saranno anche avvantaggiati i lavori manuali, come ha spiegato Julia Pollak, capo economista di ZipRecruiter, alla Cnn: "Sarà più facile automatizzare i lavori d'ufficio rispetto a mestieri come il carpentiere, elettricista e rimozione dei parassiti, molti di questi servizi manuali sono svolti da uomini." Lavori difficili da automatizzare, infatti un rapporto dell'Università della Pennsylvania pubblicato a marzo ha elencato i mestieri "che saranno al sicuro dall'IA", tra questi: agricoltori, autisti, meccanici, tecnici, elettricisti, idraulici, tuttofare, macellai e chef.
Un'alternativa pericolosa
Il problema, come ha spiegato Kerry McInerney, ricercatore presso il Leverhulme Center for the Future of Intelligence dell'Università di Cambridge, potrebbero esserere proprio le alternative. I lavoratori più esposti (che sono anche i meno retribuiti), saranno probabilmente "spinti in aree come l'etichettatura di dati", in altre parole svolgeranno sempre lavori "di ufficio" ma legati all'intelligenza artificiale.
L'etichettatura consiste nell'affiliare nomi a video, immagini e audio, per addestrare i sistemi. In alcuni casi questo diventa un problema, come per la moderazione sui social. Ai tempi dell'intelligenza artificiale svolgere questo compito vuol dire passare il tempo a catalogare per ore stupri, immagini pedoporografice, suicidi, violenza, incesti e odio per ripulire l’intelligenza artificiale da tutto il male del mondo. È la schiavitù 3.0, quella che permette alle industrie tech di macinare miliardi di dollari. "Questi lavori possono essere psicologicamente molto dannosi", a causa della natura del materiale che deve essere identificato, afferma McInerney. Qualcosa del genere sta già succedendo in Africa, dove una società di outsourcing in Kenya, Sama, sta sfruttando i lavoratori per ripulire ChatGPT di OpenAI.