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Manovra 2025

Nel testo della Manovra 2025 c’è una riga che affossa un intero settore: il problema della Web Tax

L’Articolo 4 del testo che definisce la Legge di Bilancio 2025 estende la Web Tax a qualsiasi impresa che si occupi di servizi digitali. Prima questa tassa era riservata solo alle Big Tech, le società che avevano un fatturato globale di almeno 750 milioni di euro.
A cura di Valerio Berra
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Sono giusto quattro righe. Un particolare quasi invisibile nel testo di 133 pagine dove viene tracciata la Legge di Bilancio per il 2025. Quattro righe che possono incidere direttamente su un intero settore economico. Il testo si trova nell’Articolo 4: è qui che si estende la Web Tax a tutte le aziende che in Italia si occupano di servizi digitali. Nello specifico “che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali”. Ricordiamo solo i prossimi passaggi: ora Camera e Senato dovranno discutere questo testo e approvarlo entro il 31 dicembre.

Il cambio imposto dall’Articolo 4 non è banale. La Web Tax, nota anche come Digital Tax, è un’imposta del 3%. Quello che è scritto nell’Articolo 4 del testo della Manovra va a cancellare l’obiettivo per cui era stata pensata: tassare le Big Tech che fatturano milioni di euro in Italia ma lasciano nelle casse del Tesoro giusto qualche briciola. Il testo presente nella manovra modifica la Legge di Bilancio del 2019 che introduceva proprio questa tassa.

Il testo, nello specifico Legge 20 dicembre 2018 n. 145, introduceva la Web Tax per tutte le aziende che conosciamo come Big Tech. I criteri erano due: un fatturato globale da 750 milioni di euro e un fatturato registrato in Italia da 5,5 milioni di euro. Eliminando questi due criteri la Web Tax, se passa così come viene descritta in Manovra, riguarderà tutte le imprese che si occupano di servizi digitali: anche quelle piccole e medie. Anche quelle appena nate. Tra l'altro sempre nell'Articolo 4 si parla anche dell'aumento delle tasse per chi scambia criptovalute.

Giulia Pastorella (Azione): “Punito chi ha avuto coraggio di innovare”

Giulia Pastorella è deputata e vicepresidente di Azione. Come spiega a Fanpage.it questa legge non solo alza di fatto le tasse su un settore ma colpisce anche chi ha provato strade nuove per fare impresa in Italia: “Questa norma scoraggia le aziende a digitalizzarsi e punisce tutti quegli imprenditori che hanno avuto il coraggio di innovare e aprirsi a nuovi mercati tramite il web. Insomma, dopo aver passato gli anni del Covid a dire alle aziende "mettetevi online" ora presentiamo loro il conto con una nuova imposta”.

Nelle specifico, i nuovi criteri di questa tassa incidono direttamente anche sulle startup e le piccole imprese: “Una tassa odiosa tra l'altro perché applicata sul fatturato, che quindi colpisce ancora più duro le piccole aziende e gli artigiani con basse marginalità o che magari, in quanto startup, sono ancora in perdita operativa”.

“Sarà più difficile mantenere la qualità del contenuto prodotto”

Giancarlo Vergori è il presidente Fedoweb, l’associazione di categoria che raccoglie editori e operatori online. Il giudizio su questa scelta rilasciato alla rivista Engage è netto: “Come spesso accade in Italia il fine è corretto ma lo sviluppo è impreciso. Gli editori online, che già operano in un contesto economico difficile dove la predominanza di poche piattaforme è sempre più oppressiva, si troverebbero a dover affrontare costi aggiuntivi compromettendo la loro capacità di agire. Questo scenario non solo aumenterebbe i costi degli editori, ma renderebbe sempre più sfidante mantenere la qualità del contenuto prodotto”.

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