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Nasce il primo sindacato italiano degli influencer: “È una professione. Lo Stato deve riconoscerla”

L’organizzazione si chiama Assoinfluencer ed è stata fondata da Jacopo Ierussi e Valentina Salonia. Tra i primi iscritti anche Luis Sal.
A cura di Valerio Berra
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I sindacati sono la vera rivoluzione degli ultimi anni nel mercato delle Big Tech. Union, si chiamano negli Stati Uniti. E il processo di unionization è riuscito a sorprendere e preoccupare alcune delle aziende con il fatturato più grande del mondo. La prima volta è successo a Google: all’inizio del 2021 un gruppo di 230 lavoratori ha deciso di mettersi insieme per chiedere all’azienda migliori condizioni di lavoro. Nell’aprile del 2022 a Staten Island, New York, Christian Smalls ha guidato i suoi ex colleghi alla nascita del primo sindacato di Amazon. E ora quel processo è arrivato anche in Italia.

Jacopo Ierussi e Valentina Salonia hanno aperto il primo sindacato degli influencer: Assoinfluencer. Anche se il nome è un po’ retrò, le istanze sono tutte nuove. L’obiettivo è quello di iniziare una campagna per far riconoscere questa professione. Non solo sarà più facile per i creator pagare le tasse ma anche le aziende sapranno come tararsi negli investimenti per la pubblicità sui social.

Tra gli scopi c’è anche quello di dare una rappresentanza comune a queste figure professionali davanti alle grandi piattaforme con cui operano. Al momento basta un click di troppo in un un ufficio in California per cambiare da un giorno all’altro la vita di chi lavora sul web, come spiega a Fanpage.it Jacopo Ierussi.

A cosa serve un sindacato degli influencer?

Tutto è nato da quello che doveva essere un progetto accademico. Io sono un avvocato giuslavorista e insieme alla collega Valentina Salonia abbiamo cominciato a studiare il caso dei creator digitali. Ci siamo accorti che serviva un organo di rappresentanza, anche perché è un settore dove ci sono molti giovani. Spesso questi ragazzi incontrano persone che vogliono approfittarsi di loro. Il nostro primo obiettivo è quello di avere un codice Ateco di riferimento, un codice che sia riconoscibile anche da tutta la pubblica amministrazione.

Perché è necessario avere un codice Ateco?

Prima di tutto avere un codice che definisce a livello burocratico queste professioni ci permetterà di capire le dimensioni del mercato in Italia. Non solo. È utile anche per dare ai creator degli ammortizzatori sociali in caso di bisogno oppure delle agevolazioni fiscali per chi vuole cominciare questa attività.

Ormai abbiamo tutti dei profili social. Quando possiamo essere considerati influencer?

Le definizioni cambiano. C’è sicuramente chi si concentra sull’elemento quantitativo e quindi conta solo i follower ma per noi questo non è l’unico criterio. Proviamo a vederla così: sicuramente ci deve essere una comunity di base, da 5 mila follower possiamo già parlare di mini influencer. La vera differenza però sta nel rapporto con questa comunity.

Con che tipo di contratto lavorano?

Ci sono varie formule. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavoro autonomo ma ci sono anche altre categorie, ad esempio la cessione dei diritti di immagini. Alcune aziende assumono i creator come brand ambassador e quindi stipulano con loro un contratto di lavoro subordinato.

In questi anni abbiamo letto spesso casi di creator che hanno ricevuto le attenzioni della Guardia di Finanzia. Come mai?

Voglio spezzare una lancia per quello che è stato detto da quei creator. A volte è difficile capire che tasse bisogna pagare, con che codice bisogna presentarsi e quali attività bisogna dichiarare. Al momento ci sono regole diverse da seguire se lavori con YouTube, con Twitch o con Instagram.

Avete già i primi tesserati?

Sì, abbiamo cominciato con una campagna di tesseramento su invito riservato. I nostri primi ambassador sono Angelo Greco, un avvocato che spiega il diritto attraverso i social, e Luis Sal. Lui è nato come YouTuber e oggi gestisce con Fedez il podcast Muschio Selvaggio.

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