Mostri, alieni e pesci mutanti: ora la propaganda cinese è una sfilata di orrori creati dall’IA
Toni radioattivi. Nelle ultime settimane è questo il registro con cui sui social media in Cina si è commentato il rilascio delle acque di raffreddamento dell'ex centrale nucleare di Fukushima Daichii, in Giappone. Su Weibo, piattaforma di microblogging cinese simile a Twitter, la notizia è stata in pianta stabile negli argomenti di tendenza per oltre una settimana. Gli hashtag dedicati si moltiplicano quotidianamente e hanno raggiunto visualizzazioni nell’ordine dei miliardi. Gli utenti di Weibo ammoniscono Tokyo dichiarando che “la storia si ricorderà del governo giapponese”. C’è anche chi si augura che il premier Fumio Kishida venga “condannato a morte” e chi propone di “fare saltare in aria il Giappone con una bomba atomica”.
L’astio nei confronti di Tokyo è terreno fertile per il nazionalismo cinese. L’animosità tra i due Paesi ha profonde ragioni storiche (la Cina rimprovera il Giappone di non aver mai chiesto scusa per il massacro di Nanchino), che riemergono puntualmente sul web della Repubblica popolare in occasione di contrasti politici legati all’attualità. Online si fa spesso riferimento al “piccolo Giappone”, termine dispregiativo utilizzato dagli utenti cinesi per indicare il rivale.
Il governo cinese ha da subito criticato la decisione dell’amministrazione Kishida sullo smaltimento dei residui del disastro nucleare, accusando il Giappone di avere “messo a rischio tutto il mondo” e di aver “violato i diritti ambientali, alla salute e allo sviluppo” delle future generazioni. La linea del Partito comunista cinese è stata rilanciata da una massiccia copertura sui media tradizionali, che stanno alimentando il sentimento antigiapponese presente sui social.
Come funziona la propaganda artificiale
Dopo l’avvio dello sversamento delle acque di Fukushima le pagine dei social cinesi sono state inondate di vignette satiriche e immagini che dipingono il futuro distopico di una Terra radioattiva. Su Xiaohongshu (un mix tra Instagram e Pinterest) e Douyin (sorella maggiore di Tik Tok della casa Byte Dance) spiccano soprattutto le immagini realizzate con programmi di intelligenza artificiale generativa come Midjourney che raffigurano mostri marini, acque contaminate e corpi geneticamente modificati dalle radiazioni. La Cina ha di recente approvato una bozza di legge per regolamentare l’Intelligenza Artificiale generativa nel Paese. La norma prevede tra le altre cose l’obbligo di etichettare immagini e testi realizzati con l’IA generativa e invita utenti e piattaforme a “non condividere informazioni false” per contrastare la disinformazione sul web.
Il boicottaggio dei prodotti esteri
Diversi video in circolazione mettono invece in guardia contro il pesce giapponese. La Cina è il primo mercato di riferimento per il settore ittico del Giappone, da cui acquista soprattutto capesante e cetrioli di mare. Il 24 agosto Pechino ha sospeso l’importazione di tutti i prodotti pescati lungo le coste nipponiche citando “rischi di contaminazione” per la popolazione. Questa scelta è stata accusata di essere motivata esclusivamente da ragioni politiche, ma la paura di un contagio si è diffusa in Cina online come offline. Negli scorsi giorni è diventato virale un video che mostra un supermercato preso d’assalto per comprare gli ultimi sacchi di sale marino giapponese: un ingrediente utilizzato in cucina e rinomato per le sue proprietà purificatorie.
Molti utenti social hanno invece invocato un boicottaggio generale di tutti i prodotti giapponesi, dal sushi a marche di abbigliamento e lifestyle come Uniqlo e Muji, chiedendo al governo di imporre misure più stringenti contro Tokyo. È il nazionalismo popolare dei consumi, una pratica consolidata nel panorama online cinese che vede gli utenti boicottare prodotti stranieri come forma di protesta. Nel 2012 il Giappone era già stato oggetto di un boicottaggio simile nel pieno della disputa sulle isole contese Senkaku nel mar Cinese orientale, che la Repubblica popolare rivendica e chiama Diaoyu. Un altro caso famoso è il boicottaggio del brand italiano Dolce&Gabbana a seguito di uno spot considerato razzista dagli utenti cinesi.