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“Mia mamma ha pubblicato tutta la mia vita sui social: così mi ha distrutto l’infanzia”

La prima generazione dei kid influencer è cresciuta e vuole far sentire la propria voce. Ora chiedono ai legislatori un risarcimento finanziario e il diritto di eliminare i contenuti indesiderati. Al momento infatti manca un quadro normativo dedicato per limitare lo sfruttamento di minori sui social.
A cura di Elisabetta Rosso
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Quando Cam Barrett fece il primo incidente in macchina sua madre le puntò una telecamera in faccia. Era già successo, per il suo primo ciclo mestruale, durante il ricovero in ospedale per lo streptococco, e quando ha scoperto di essere stata adottata. L'infanzia e l'adolescenza di Barrett è accuratamente documentata. Capricci, diagnosi mediche, confessioni, tutto è stato pubblicato sui social media. "A volte mi nascondevo nella mia stanza per evitare di essere filmata. Non mi confidavo con gli adulti durante l'adolescenza perché avevo paura che i miei segreti finissero sulle piattaforme" ha raccontato alla Cnn.

Barret ha 25 anni, e fa parte della schiera di baby influencer dati in pasto ai social. Ora sono cresciuti, e chiedono ai legislatori un risarcimento finanziario e il diritto di eliminare i contenuti indesiderati. 

Chi è nato negli anni '90 ha vissuto in un mondo a misura social, e solo ora che sono diventati adulti i primi baby influencer è possibile ascoltare le loro testimonianze. "Voglio essere la voce di questa generazione di bambini perché so in prima persona cosa vuol dire non avere la possibilità di scegliere se avere o meno un'impronta digitale che poi ti segue per il resto della tua vita", ha sottolineato Barret. "Ero troppo piccola per capire cosa stava succedendo e questa continua esposizione ha messo a dura prova la mia salute mentale".

Come ogni fenomeno radicato quello dei baby influencer si è anche guadagnato un nome: sharenting. Contrazione di sharing (condivisione) e parenting (genitorialità) ed è stato battezzato ufficialmente a giugno 2022 dall’Oxford English Dictionary.

@softscorpio

wanted to share this with you guys because i wouldnt have been able to do this without all of your support❤️ #softscorpio #familyvloggers #familyvlog #kidsarenotcontent

♬ original sound – cam

L'economia dei kid influencer

La “mamma influencer” e il "kid influencer", come ha spiegato lo studio Managing Children’s Online Identities dell'Università del Michigan, sono lavori contrattualizzati dalle agenzie di comunicazione, e in base ai follower vengono selezionati in diverse categorie. Per chi ha meno di 50.000 follower sono previsti prodotti gratuiti o sconti, superata la soglia cominciano le collaborazioni a pagamento, la parcella si alza in modo direttamente proporzionale ai follower accumulati.

È un'industria che è cresciuta negli anni. All'inizio era meno strutturata, ma questo non impediva ai genitori di guadagnare attenzione e favori. Barret, per esempio ha raccontato che grazie ai post pubblicati la madre ha ricevuto due biglietti in prima fila per il concerto di Demi Lovato. 

Quali sono i rischi per i minori

"Mi vergognavo, spesso mi bullizzavano, la condivisione eccessiva ha messo a dura prova la sua salute mentale", ha raccontato Barret. Come spiega Save the Children le foto o i video sui social sono “tracce digitali, su cui i bambini non hanno controllo, ma che vanno a sedimentarsi in rete diventando parte dell’identità digitale dei ragazzi”. Non sono solo foto. Ma dati, informazioni, che espongono i bambini online.

Non solo. Dal punto di vista psicologico, invece, c'è il rischio di sviluppare un Falso Sé. Essendo esposti sin dall'infanzia sui social i ragazzi potrebbero creare barriere difensive che compromettono l’autenticità. D’altronde non possono imparare la differenza tra pubblico e privato, quando tutto viene postato sui social.

Esporre i bambini alla pedofilia online

Madri e padri sfoggiano i figli, l'obiettivo è ottenere sconti da marchi di abbigliamento, essere pagati per le sponsorizzazioni e macinare follower. A volte sono mossi dal semplice desiderio di trasformarli in piccole star, non curanti del reale interesse che i figli potrebbero avere. Eppure questa vetrina virtuale può degenerare rapidamente in un ricettacolo sotterraneo per i pedofili a caccia di immagini di minori.

Più i profili raccolgono follower più è alto il rischio di attirare pedofili. Uno studio del 2020 condotto da Meta, società madre di Instagram, ha rivelato che 500.000 account di bambini ricevono interazioni "inappropriate" ogni giorno. Barrett a 12 anni è stata contattata su Facebook da un uomo. L'aveva seguita mentre tornata in bicicletta "ora so dove abiti", le aveva scritto.

Il Canadian Centre for Child Protection, un'organizzazione che monitora lo sfruttamento minorile online, ha identificato immagini di abusi sessuali su minori che coinvolgono diverse modelle minorenni di Instagram.

Un vuoto legislativo

Al momento manca un quadro normativo dedicato ai kid influencer per limitare lo sfruttamento di minori sui social. Le legge, come spesso succede, non è stata al passo con l'evoluzione dei social, ma la situazione sta lentamente cambiando. L'Illinois l'anno scorso ha approvato una legge che impone ai genitori di risarcire i bambini, conservando una percentuale del denaro che guadagnano dalla creazione di contenuti. La legge dell’Illinois, che entrerà in vigore a luglio, potrebbe fare da apripista per altri stati come California, Georgia, Missouri, Ohio, Minnesota e Arizona. 

"Tutti meritano un giusto compenso per il loro lavoro, e questi bambini meritano di condividere il successo finanziario della loro famiglia, soprattutto se va a scapito della loro privacy", ha spiegato in una nota il senatore della California Steve Padilla. 

Anche in Italia il tema sta entrano nell'agenda politica. Già a novembre 2022, l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia ha sottoposto la questione al governo. Ora, il Parlamento valuterà una proposta di legge sul tema. Verranno presi in considerazione diversi aspetti dello sharenting. Dal diritto del minore alla propria immagine ma, anche, all'oblio, fino al destinare a un conto intestato al bambino una parte dei profitti ottenuti grazie alle attività pubblicitarie dei genitori.

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