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Mi hanno rubato lo smartphone ed è stata una fortuna: come è andata la mia settimana senza notifiche

Pagamenti digitali e chiamate, mappe per orientarsi e menù online: è difficile sopravvivere in una società iperconnessa, dove i servizi sono pensati per chi ha sempre un dispositivo collegato a internet con sé. Ma qualche giorno senza smartphone non può che fare bene.
A cura di Velia Alvich
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Sono in fila per salire sulla metro. È pieno di persone. Ascolto musica con le cuffie Bluetooth. Si chiudono le porte, il mezzo parte e il brano si interrompe all’improvviso. Sai cosa è successo, ma speri che non sia vero. Metto la mano in tasca per scoprire che i timori sono reali: lo smartphone non c’è più. So che non lo troverò, ormai è andato. Meglio mettersi nell’ottica di un acquisto (non previsto e non gradito).

Nell’attesa che il corriere consegni il pacco con il nuovo smartphone, ho due opzioni: usarne uno di emergenza oppure vivere per qualche giorno senza telefono. Una storia che è capitata a tanti. Io ho scelto di rinunciare a un telefono di emergenza, inconsapevole che avrei aspettato quasi una settimana prima di rimettere mano a uno smartphone. Così ho vissuto un periodo di digital detox e ho scoperto che si può sopravvivere anche senza telefono anche in una società iperconnessa.

Primo problema: bloccare la Sim e chiamare

La prima difficoltà: bloccare la scheda SIM. Il primo pensiero è di farlo sul portale del mio gestore telefonico. D’altronde, cosa non si può fare online al giorno d’oggi? Accedendo al sito, mi scontro con la realtà: quasi tutti gli operatori italiani prevedono il blocco della SIM solo tramite chiamata. Inutile dirlo: non ho un cellulare con cui telefonare per bloccare il mio stesso telefono.

TIM | Per bloccare la SIM, gli operatori telefonici spesso chiedono di chiamare il servizio assistenza
TIM | Per bloccare la SIM, gli operatori telefonici spesso chiedono di chiamare il servizio assistenza

In questo caso è bastato chiederne uno in prestito e stare al telefono per qualche minuto per di risolvere il problema. Poi è arrivata la prima felice realizzazione: zero chiamate sgradite per i prossimi giorni. Al tempo stesso mi sono resa conto di avere la scusa per incanalare ogni comunicazione verso le app di messaggistica: con WhatsApp e Telegram installati sul computer portatile, è possibile ormai continuare a chattare anche senza avere il cellulare acceso. Non mancano quindi i modi per comunicare con il mondo. O almeno, non mancano quando si può accedere alla connessione WiFi. Fuori, invece, è il vuoto.

Ricordarsi i numeri di telefono e orientarsi in città

Due giorni dopo ho realizzato quanto fosse difficile avere una vita sociale senza un dispositivo sempre pronto a connettersi con gli altri. Un aperitivo all’epoca del lavoro flessibile, per esempio, diventa una sfida di organizzazione con un sapore retrò. Darsi appuntamento in un posto è ancora semplice. Scegliere il momento migliore per vedersi un po’ meno. “Io sarò lì dalle 19, tu arriva quando vuoi. Se non mi trovi fuori il locale, cercami dentro perché provo a sfruttare il WiFi”. L’ho detto la prima volta di mattina, ma l’ho ripetuto anche più tardi: avevo paura di rimanere da sola davanti al locale per diverse ore perché magari l'altra persona alla fine non poteva più raggiungermi. Insomma, una di quelle emergenze che risolvi solo chiamandosi.

Gli ultimi messaggi prima di uscire
Gli ultimi messaggi prima di uscire

I preparativi per uscire sembrano l’inizio di un’avventura. Numero di telefono appuntato su un’agenda (insieme agli altri che ho scoperto di non sapere a memoria), insieme a una mappa approssimativa disegnata a mano per non perdersi fra le vie di Milano. Se hai Google Maps sempre disponibile, chi ha più il tempo e la voglia di memorizzare ogni strada di una città così grande?

L’assenza di una fotocamera

Con il Sole che tramonta alle spalle che non può essere immortalato (affollando una galleria già piena di cieli infuocati che non riguarderò mai), arriva l’ennesima realizzazione: un aperitivo senza telefoni a distrarre dalle chiacchierate è un inatteso piacere. Per pagare i cocktail vanno bene anche i contanti. In un altro momento, avrei usato un’app per i pagamenti digitali, è troppo semplice ed efficiente per resistere alla tentazione. Basta scansionare un QR code e immettere l’importo. Ma i QR code sono fuori discussione, come quello che hanno presentato per scegliere dal menù. Con la faccia di bronzo di chi ha preso in giro gli anziani in tempo di pandemia per il loro rifiuto nei confronti di questi nuovi menù digitali, ho chiesto al cameriere di portarne uno di carta.

La mente torna ai pagamenti digitali, alle banche online e ai servizi di trasferimento di denaro tramite Internet. In quel momento ho realizzato di essere tagliata fuori dal mio servizio di home banking (per l’autenticazione a due fattori ho bisogno, appunto, del mio cellulare) e per cambiare la password del mio account PayPal sono costretta a inserire un codice che arriva via SMS o accettare una chiamata. Finché la carta va, lasciala andare.

Fare la spesa senza controllare le ricette

Anche andare al supermercato diventa una sfida. Avere pensato a un piatto della tradizione è un modo alternativo per tenere occupata la testa durante i lunghi viaggi in metro in cui non hai altro da fare se non guardare i visi assorti di chi fa il pendolare insieme a te. Alla fine della giornata, però, quando mi sono avvicinata alle porte del supermercato senza avere segnato da nessuna parte gli ingredienti per fare da zero il caciucco, ho capito che avrei dovuto aspettare ancora qualche giorno prima di provare nuove ricette.

Senza poter consultare nessun sito gastronomico all'ultimo secondo, ho pensato che qualsiasi altra curiosità dovevo tenermela ben stretta fino al mio ritorno a casa. Non importa che si tratti di dubbi grammaticali, curiosità storiche, scommesse sui fatti più strani. Si aspetta di tornare a casa per usare un computer (e non più un'enciclopedia di carta). Fra un pensiero e un rimpianto, tra uno scaffale e un banco frigo, ho realizzato anche di essermi dimenticata di trascrivere su carta una lista dei prodotti essenziali che mancavano a casa.

La fine del digital detox

La sveglia squilla alle sei. Non è Alexa a suonare (è troppo lontana dal letto), ma neppure una di quelle sveglie tradizionali che non possiedo più da quasi un decennio. È semplicemente lo smartphone di chi dorme dall’altro lato del letto matrimoniale, che ormai da sei giorni ha messo a disposizione il proprio dispositivo solo per farmi alzare al mattino.

L’atteggiamento nei confronti della vita sembra migliorato e al tempo stesso è diminuito il fastidio che ho provato i primi giorni a stare da sola con i miei pensieri, senza poter ascoltare musica e senza scrollare all’infinito il feed di uno dei mille social. Ho trovato il tempo di continuare a leggere un libro che avevo lasciato da parte. Su un ebook reader, ovviamente, ma con la modalità aereo sempre attiva, giusto per rimanere sull'onda del digital detox.

Dopo sei giorni senza cellulare, la vita sembra più reale. Le strade sono fatte di suoni e colori, la metro è piena di umanità con la testa china su uno schermo, le comunicazioni sono ridotte all'essenziale. I contatti non sono social, sono umani. Ho riscoperto anche il piacere dei gesti più lenti, quelli inefficienti, che non si possono eseguire in un click, in una frazione di secondo per svuotare la vita e quindi riempirla di più.

Una notifica sullo schermo del computer attira la mia attenzione. “Il tuo pacco è pronto per il ritiro presso Amazon Locker”. È arrivato lo smartphone, il digital detox è finito. La bolla di serenità è scoppiata, rimane solo il desiderio ossessivo di passare il dito sullo schermo.

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