L’uomo che ha cambiato il suo passato con l’intelligenza artificiale: “Ho mischiato realtà e finzione”
Questa non è la foto di un album di famiglia. Eppure lo sembra. Ci sono i graffi, le macchie, quella patina antica che caratterizza le immagini vecchie, quelle che raccontano il nostro passato. Ora, con gli sviluppi dell'intelligenza artificiale è possibile realizzare anche testimonianze storiche che non sono in realtà mai esistite.
Paolo Bufalini, artista romano, ha fatto qualcosa del genere. Ha aperto un software, l'ha addestrato con vecchie immagini di famiglia e creato un passato alternativo. Il progetto si chiama Argo e vuole essere un punto di partenza per ridefinire il concetto di archivio, non più testimone di un "passato rigido", ma materiale aperto a infinite reinterpretazioni. Nelle foto realizzate da Bufalini la realtà aumentata diventa quindi un ponte tra ricordo e invenzione.
Partiamo dall'inizio. Come è nato il progetto?
Avendo già lavorato con le foto di famiglia e la rimediazione di materiali biografici, carichi di densità emotivita attraverso dispositivi tecnologici digitali, mi interessava portare avanti questa sperimentazione, capire cosa sarebbe successo dall’intreccio di due mondi per certi versi agli antipodi.
E cosa è successo?
Diciamo che il risultato è qualcosa di digitale ma che non sembra tale a un primo impatto. Io ho scansionato delle foto stampate, quindi anche molto vecchie. Tutto quello che era polvere o graffi, ma anche parti macchiate delle foto, è diventato parte del linguaggio visivo che poi il modello era in grado di riprodurre. Quindi tutte queste immagini è come se avessero uno strato di tempo accumulato. Anche se sono state create da un software e sono in tutto e per tutto sintetiche, mantengono un certo calore e una certa temperatura emotiva, intima. C’è stato un processo biunivoco – da una parte il modello ha inglobato queste caratteristiche analogiche del dataset di partenza, dall’altro il dataset è stato rielaborato dal modello secondo paradigmi visivi estranei.
Puoi spiegarmi meglio come hai creato queste immagini?
Per prima cosa ho scansionato tutte le fotografie in alta definizione, dopodiché ho creato vari dataset, divisi per soggetto, per allenare un modello di Stable Diffusion. Ogni immagine che andavo a caricare l'ho dovuta descrivere testualmente per dare le coordinate di apprendimento e una volta creati tutti questi modelli ho iniziato a generare con i classici processi text to image.
Quindi hai scritto dei prompt chiedendo di replicare un album di famiglia alternativo.
Non esattamente, perché l’estetica non è esattamente quella di un album fotografico, ma il risultato dell’intreccio di più paradigmi visuali. Una volta che il modello ha appreso le sembianze di un soggetto, tramite il prompt e una miriade di altri parametri, ho generato dei ritratti di mio padre, mia madre e mia sorella come dormienti, situazione che non si ritrova negli album e che è legata al mio percorso artistico in generale, oltre ad essere un tema ricorrente della storia dell’arte.
Perché il tuo progetto si chiama Argo?
Volevo richiamare l’idea del ritorno a casa, del viaggio nel passato, in questo caso nella storia della mia famiglia. Il processo, soprattutto nella parte di scansione delle immagini originali, ha innescato uno sguardo retrospettivo, anche se non c'è poi, nelle opere, nessun racconto biografico, le immagini rimangono personali solo in quanto fedeli ai soggetti che rappresentano dal punto di vista delle sembianze.
Come hai scelto il periodo da cui iniziare?
Ho lavorato, in partenza, con gli album nella loro interezza, e le immagini più vecchie risalivano agli anni ’50. Andando poi a limare la selezione per formare dei dataset efficienti direi che quasi tutte le immagini che ho utilizzato vanno dagli anni ’80 ai primi 2000.
Nelle tue foto di famiglia realizzate con l’IA tutte le persone dormono giusto?
Sì esatto.
Tutte? Sempre?
Sì, le immagini non sono reali, ma sono credibili, questa ambiguità è la stessa del sonno perché siamo assenti e presenti al tempo stesso. Mi interessava che i soggetti fossero presenti ma immersi in un altrove, in uno spazio profondo di possibilità associative, la commistione tra realtà e immaginazione che caratterizza il mondo onirico.
I personaggi sono verosimili?
Praticamente identici.
Ti ha dato risultati strani all’inizio? Per esempio mani con sei dita o espressioni plastiche?
All’inizio ho dovuto fare diversi esperimenti, le foto che vedi sono il risultato di un anno di lavoro, ho dovuto generare centinaia o migliaia di foto prima.
Ce n’è una che ti ha colpito di più?
Direi di no, non ne ho una preferita.
E invece una foto che ti ha fatto impressione, che non avresti voluto vedere?
Nemmeno. All’inizio è stata un'esperienza emotiva di un certo tipo, poi, continuando a lavorarci, e traslando necessariamente il discorso sul piano più propriamente artistico, ho acquisito una distanza dal lato più strettamente personale.
Ecco, allargando un po’ lo sguardo. Quali applicazioni potrebbero avere in futuro?
In realtà non ne ho idea.
Non ci hai pensato? Non so a me vengono in mente rischi legati alla disinformazione, alle fake news, penso ai negazionisti.
Credo che le immagini di per sé non siano mai credibili, è sempre la fonte che dà valore, le foto hanno già perso autorevolezza. Magari aumenta una tendenza che comunque era già ampiamente presente, da anni le fotografie sono manipolabili, ma più in generale l’immagine da sola non ha alcun valore documentale.
Sì, ma i nuovi software sono più semplici da utilizzare e chiunque in poco tempo sarà in grado di realizzare immagini false che sembrano vere. A me questo sembra un cambiamento piuttosto rilevante.
Credo ci sarà – anzi, c’è già – un discredito generale verso le fonti visive. Personalmente non ritengo questo aspetto della questione così rilevante. Il mio uso dello strumento è più poetico e speculativo che critico in senso stretto.
Come ha reagito la tua famiglia dopo aver visto le foto create con l'IA?
Sapevano del procedimento che stavo portando avanti, ma non dei risultati finali, che hanno voluto vedere direttamente alla mostra a cura di Sineglossa (tra l'altro sarà visitabile a Palazzo Ducale, a Genova, fino al 5 dicembre) hanno apprezzato molto il lavoro quando lo hanno visto una volta finito.
PAOLO BUFALINI | Argo