L’intelligenza artificiale cinese odia Winnie the Pooh: se lo nomini vieni bannato
L’ultimo test fatto all'intelligenza artificiale di Baidu solleva un problema. Il chatbot si chiama Ernie Bot, è stato lanciato a marzo, e sembra che non abbia voglia di parlare di Covid, di Xi o di qualsiasi altro argomento che faccia storcere il naso a Pechino. E così si apre una nuova domanda: cosa succede se i software vengono costruiti a immagine e somiglianza del Paese che li produce? Potrebbero diventare corridoi per fare eco a ideologie, mezzi di censura, propaganda o disinformazione. Solo la scorsa settimana Sam Altman, Ceo di OpenAi, l'azienda di ChatGpt e Dall-E, di fronte a una giuria di senatori ha messo sul banco tutte le sue paure, chiedendo una regolamentazione ferrea al governo per impedire che la nuova tecnologia crei più danni che benefici. Ora che Ernie Bot ha deciso che la pandemia di Covid-19 non è iniziata a Wuhan e ha cancellato Winnie the Pooh dalla faccia della Terra (chi prova solo a nominare l'orsetto viene bannato dall'intelligenza artificiale cinese), diventa ancora più urgente una regolamentazione ferrea dei chatbot.
Per Ernie bot nessuno sa dove è iniziato il Covid-19
La giornalista Eunice Yoon durante "Squawk Box" programma della CNBC ha testato Ernie Bot, il rivale di ChatGPT prodotto da Baidu. Yoon ha cominciato a chiedere al chatbot cinese informazioni sul coronavirus, tra queste anche quale fosse stato l’epicentro della pandemia. "L'origine del nuovo coronavirus è ancora oggetto di ricerca scientifica", ha risposto Ernie. Nessuna menzione a Wuhan, o alla Cina. E quando Yoon ha provato a chiedere perché la Cina avesse sospeso le sue politiche zero Covid, (politiche estremamente dure e violente che hanno generato proteste in tutto il Paese), Ernie è rimasto in silenzio. Non ha nemmeno voluto parlare di politica in generale, ha glissato su Xi Jinping come se per osmosi avesse assorbito tutto il timore reverenziale dell’autoritarismo. D’altronde i chatbot si nutrono dei dati e delle informazioni che gli vengono date in pasto, trasformandosi così in un versione artificiale di un Paese, di una cultura o di un regime.
Come cancellare Winnie the Pooh dalla faccia delle Terra
Non solo silenzio stampa sulle politiche zero Covid, Ernie sembra anche essersi dimenticato dell’esistenza di Winnie the Pooh. Non è un caso. Il governo cinese da anni cerca di reprimere tutti i collegamenti tra il protagonista delle storie di Christopher Robin e il presidente Xi Jinping. Tutto inizia nel 2013, quando Xi incontra Barack Obama, negli Usa, vengono fotografati insieme e l’immagine viene subito assimilata a un frame di Winnie The Pooh, dove l’orsetto (Xi) cammina trotterellando vicino al suo amico Tigro (Obama). Nemmeno un anno dopo diventa virale una foto di Xi in compagnia del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, che, vista l’espressione, viene associato all’asino triste del cartone animato, Ih-Oh.
E poi lo scatto dove il presidente Xi fa capolino dal tetto della sua speciale limousine Red Flag per ispezionare le truppe, che viene subito contrapposta online alla foto di un giocattolo in cui Winnie the Pooh che salta fuori dalla sua macchina. I meme continuano a diffondersi tanto che nel 2015 secondo la società Global Risk Insight, che fornisce analisi su come gli eventi politici globali influenzano la società e l’economia, l’immagine di Xi paragonato a Winnie è lo scatto più censurato dell’anno. La repressione è diventata sempre più severa, tanto che nel 2018 l’emittente televisiva statunitense HBO è stata bloccata perché il comico John Oliver ha assimilato il personaggio di Winnie The Pooh proprio a Xi. Non stupisce quindi che alla domanda: "Qual è il rapporto tra Xi e Winnie the Pooh", non solo Yoon non ha ricevuto una risposta, ma anche il suo accesso a Ernie è stato disabilitato.