Le file al negozio di One Piece a Milano sono il modo migliore per celebrare un capolavoro?
Il 5 maggio cade il compleanno di Monkey D. Rufy. È il protagonista di One Piece, il manga creato da Eiichiro Oda, il più venduto al mondo nella storia del fumetto giapponese. Quest’anno, l’occasione si è rivelata un pretesto per celebrare anche i 25 anni della trasposizione animata (anime) del manga, attraverso iniziative commerciali in varie città europee, tra cui Milano. Il 5 maggio scorso, Corso Como ha ospitato un pop-up store a tema One Piece, vale a dire un negozio ufficiale temporaneo (verrà dismesso il prossimo 19 maggio). Oltre 6 ore di fila, cartoline in edizione limitata subito prese d’assalto per essere rivendute su internet a prezzi maggiorati e una generale disorganizzazione lamentata da utenti e creator specializzati sui vari canali social.
Quanto successo a Milano apre il fianco a una provocazione: perché quando si parla di cultura pop giapponese lo si fa sempre in termini di marketing e non di dibattito culturale, come accade per esempio per anniversari legati ai film o ai fumetti europei? Del resto, One Piece è un'opera già iconica, che nel corso della sua pubblicazione ha abbracciato più generazioni di persone appassionate, e che ha tra i suoi temi centrali il valore dell’amicizia.
Non per ultimo, rappresenta in un certo senso l'eredità lasciata da Akira Toriyama, il creatore di Dragon Ball recentemente scomparso. Un nome che ben testimonia l'impatto della cultura pop giapponese nel mondo. Eppure, quanto visto a Milano dimostra che le iniziative legate alle produzioni giapponesi assumono molto spesso la forma di operazioni commerciali in cui vendere merchandising a migliaia di appassionati, mettendo in secondo piano la loro valenza di prodotto non solo culturale, ma anche sociale, aspetto evidente nelle principali fiere del fumetto.
Da un lato, il focus sul profitto è comprensibile: il manga oggi è popolare, anche in Italia. È emerso al Salone del Libro di Torino 2022, in cui si è registrato un aumento del 256% rispetto al periodo pre-pandemico del 2019, per un valore complessivo delle vendite pari al +175%. Anche l’Associazione Italiana Editori (AIE), attraverso il report 2022, ribadisce in ottica generale l'elevata crescita che ha coinvolto il mercato del fumetto in Italia, pari al 15,9% rispetto all’anno precedente.
Nel 2023 si è assistito a un calo, in linea con la normalizzazione post-pandemica, ma il settore resta comunque florido. In altre parole, la domanda di un pubblico così vasto, disposto a spendere sia per il prodotto manga in sé che per acquisti correlati (action figures, costumi per cosplay e oggettistica varia), merita di avere un'offerta che alimenta e accresce il mercato.
Questa visione consumistica di anime, manga (e anche videogiochi) è certamente legata al loro Paese di origine. La società nipponica fa del materialismo una sua caratteristica, come emerge più volte nel testo di Matt Alt, POP ポップ. In questo contesto, il manga non è solo un’esperienza di lettura e di ammirazione dei disegni, ma è prima di tutto un oggetto bello da possedere, data la cura messa per la rilegatura, l’impostazione grafica di copertina e tavole, e così via. Tale visione è approdata anche in Italia, dove il manga conferma in primis lo status di bell’oggetto da avere in casa, poi di esperienza.
Del Giappone, però, il resto del mondo non ha preso la sua capacità di far penetrare la sua cultura pop nella società. Basti pensare alla brandizzazione di numerosissimi prodotti a tema (penne, borse, cosmetici, vending machine e così via), alla presenza costante dei personaggi di Pokémon, Dragon Ball, Hello Kitty, Capitan Tsubasa in mezzo alle strade delle principali metropoli giapponesi – Tokyo fra tutte – tra statue, treni e palazzi decorati ad hoc; e ancora, a come la politica giapponese abbia puntato moltissimo negli anni sui suoi simboli nazionali: emblematico il defunto ex premier Shinzo Abe spuntare alle Olimpiadi di Rio con indosso il cappello di Super Mario per presentare Tokyo 2020.
Il consumismo si mischia dunque a iniziative urbane e sociali, per una penetrazione capillare delle icone pop giapponesi all’interno della società. “È un po’ come percepire l’essenza di Maradona a Napoli, che è ovunque”, ha detto a Fanpage.it Alessia Trombini, esperta di cultura giapponese e host del podcast Japan Wildlife, “lo stesso accade in Giappone con i personaggi di anime, manga e anche videogiochi”. Per comprendere meglio, un altro esempio: Il 31 gennaio 2023, il Final Fantasy VII Day, giorno dedicato al videogioco Final Fantasy 7, è diventato una commemorazione ufficiale in Giappone.
Fumetti di serie A e serie B
Tuttavia, al di fuori dei suoi confini, la cultura pop nipponica viene percepita, agli occhi dell'opinione pubblica, come frivolo intrattenimento di nicchia per i più giovani, fruito in modo consumistico. In effetti quello di anime, manga e videogiochi è un fenomeno che coinvolge principalmente millenial e generazione Z, ossia coloro nati tra il 1980 e gli anni '10 del Duemila. L'exploit di questi prodotti avviene tra gli anni '80 e '90 – nel caso degli anime in Italia, fu centrale l'influenza di Anime Night, il programma andato in onda su MTV dal 1999 al 2010 – fino ad arrivare alla popolarità odierna, spinta in modo preponderante da internet. Di esempi ce ne sono a bizzeffe: dai video AMV su YouTube di Naruto con le canzoni dei Linkin Park, fino ad arrivare ai meme con Jujutsu kaisen e alla satira della pagina @archivi_ayanami.
Il passaggio da cultura underground a fenomo di massa ha innescato un certo snobismo da parte delle generazioni più adulte, cresciute con Tex Miller, Diabolik e Dylan Dog, e in generale in epoche in cui il fumetto europeo – da quello italiano, passando per quello belga e francese – godeva di grande fermento, anche in chiave politica. Una forma mentis che ha portato a intendere come letture di serie B le moderne declinazioni giapponesi del fumetto. Sulla parte del consumismo invece c'è poco da obiettare. Al di là di eventi come Lucca Comics & Games, in cui è possibile assistere a talk con autori e autrici di opere giapponesi, è difficile trovare spazi in cui queste passioni vengono trattate come opere più che come prodotti.
È è un peccato, perché “non è solo una questione di vendita, ma di cultura, anche in Italia. L’importante è capirlo”, afferma Trombini, riferendosi all’Euromanga, reinterpretazione europea del manga, apprezzata in particolare modo proprio in Giappone. Tra i mangaka più illustri c’è il francese Tony Valente Pereira, che con Radiant è diventato il primo autore straniero a pubblicare in Giappone nella collezione Euromanga di Asukashinsha. "Anche in Italia ci sono importanti esponenti", sottolinea Trombini, come Elena Vitagliano, la prima mangaka italiana a pubblicare su Shonen Jump Plus di Shueisha (la stessa rivista su cui viene pubblicato One Piece).
Ci sono poi anche tante e tanti artisti emergenti, che reinterpretano alla loro maniera i manga giapponesi, e che tuttavia fanno fatica a trovare spazi reali per potersi affermare. Secondo Trombini, eventi come l'anniversario di One Piece potrebbero essere ottime occasioni per coinvolgere le nuove generazioni di mangaka italiani, e inserirli in un settore caratterizzato da un pubblico vasto e giovane, che finora non ha visto altri metodi per celebrare la propria passione se non attraverso iniziative commerciali.
A una lettura più attenta, la cultura pop giapponese ha un appeal potentissimo, sia in termini di creazione di immaginari collettivi che di diffusione di tematiche universali, quali ambientalismo, antimilitarismo, amicizia e molto altro. Proprio per questo è possibile sperare in qualche eccezione: nel caso dei 25 anni dell’anime di One Piece, il 10 maggio 2024 il Teatro Metropolitan di Catania ha in programma il One Piece Music Symphony, il concerto con le musiche ufficiali performate da un’orchiesta di 50 musicisti. Un’espressione “alta” di un prodotto “basso”, che apre lo spiraglio per una nuova presa di coscienza su un potente fenomeno intergenerazionale.