La Francia vuole vietare ai genitori di pubblicare sui social foto con i figli. È la fine delle famiglie di influencer?
Se non hai particolari velleità artistiche, culinarie, o un fisico scolpito, il modo migliore per fare soldi sui social sono i figli. Le macchine perfette per macinare like su like. Come ogni fenomeno radicato si è anche guadagnato un nome: sharenting. Contrazione di sharing (condivisione) e parenting (genitorialità) ed è stato battezzato ufficialmente a giugno 2022 dall’Oxford English Dictionary.
La scorsa settimana il parlamento francese ha approvato il disegno di legge proposto dal deputato Bruno Studer per garantire ai minori il diritto alla loro immagine. Parte con la volontà di sensibilizzare ma l’obbiettivo finale è togliere ai genitori il diritto all’immagine dei propri figli (come si legge nel quarto articolo). Perché all’apparenza sono solo foto e video divertenti, ma come ogni storia di successo dietro i profili che funzionano c’è una strategia di industria fatta di programmazione dei contenuti, sponsorizzazioni, e massimizzazione dei profitti.
Lo racconta benissimo Delphine de Vigan, scrittrice non a caso francese, nel libro “Tutto per i bambini”, dove immagina la vita di una mamma influencer che distrugge l’infanzia dei suoi figli con calendari serratissimi fatti di stories, reel, promozioni e follower sempre più affamati dei suoi bambini. È chiaro, enfatizza. Ci sono anche genitori che pubblicano le foto dei figli come attestato di una vita riuscita, o per il piacere di mostrarli al mondo spinti dal motore narcisistico della genitorialità. Ma il lato più oscuro dello sharenting è legato alla monetizzazione dei propri figli. Questa consapevolezza sta traovando un terreno fertile anche in Italia, la proposta di legge francese potrebbe diventare un buon precedente per adottare misure più stringenti sui social. Già a novembre 2022, l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia ha sottoposto la questione al governo. Una legge sul tema potrebbe chiudere i rubinetti preziosi di molte mamme influencer italiane.
Il disegno di legge proposto da Bruno Studer
“I primi due articoli stabiliscono che la protezione della vita privata è uno dei compiti dei genitori, che devono associare il figlio alle scelte che lo riguardano”, ha spiegato Studer. L'iniziativa arriva pochi giorni dopo la proposta in Francia di alzare a 15 anni l’età minima per avere accesso ai social. “Il messaggio per i genitori è che il loro compito sia anche quello di proteggere la privacy dei figli. In una società sempre più digitalizzata, il rispetto della privacy dei minori è ormai imprescindibile per la loro sicurezza, il loro benessere e il loro sviluppo", ha aggiunto Studer.
Il rapporto del Children’s Commissioner for England del 2018 ha stimato che “un bambino appaia in media in 1.300 fotografie pubblicate online prima dei 13 anni, sui propri account, su quelli dei genitori o dei familiari”. Secondo l’Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation numérique nelle società occidentali oltre il 40% dei genitori pubblica foto o video dei propri figli. Tutto questo ovviamente avviene senza il consenso dei figli, il motivo è banale, non hanno l'età per darlo. Come spiega Save the Children le foto o i video sui social sono “tracce digitali, su cui i bambini non hanno controllo, ma che vanno a sedimentarsi in rete diventando parte dell’identità digitale dei ragazzi”.
Non è un segreto la “mamma influencer” (come ha spiegato lo studio Managing Children’s Online Identities dell'Università del Michigan) è un lavoro contrattualizzato dalle agenzie di comunicazione che in base ai follower vengono selezionate in diverse categorie. Per esempio, chi ha meno di 50.000 follower di solito ottiene prodotti gratuiti o sconti, se superi la soglia arrivano le collaborazioni a pagamento, e più sei seguita più la parcella si alza. Ci sono anche mamme assunte dai brand. Jolanda Restano, co-fondatrice di Fattore Mamma, nel 2020 aveva spiegato ad Adnkronos che: "Le mamme del network che lavorano in esclusiva con noi sono tra le 10 e le 15 e per loro ci occupiamo di tutto l’aspetto commerciale. Ci sono poi altre 35- 50 mamme con le quali collaboriamo molto e che andiamo ad attivare a seconda delle richieste dei clienti”.
I rischi legati allo sharenting
“Si tratta di foto che possono essere oggetto pedopornografico, o dar luogo a molestie in ambito scolastico ”, spiega Bruno Studer. I genitori infatti perdono il controllo della distribuzione delle immagini che caricano. Come spiega il disegno di legge francese il 50% delle fotografie che vengono scambiate sui forum di pedopornografia sono state inizialmente pubblicate dai genitori sui propri social network. Sono diversi i rischi connessi allo sharenting, dai furti d’identità, ovvero usare le immagini dei bambini per determinati scopi, agli adescamenti online, e al cyberbullismo. Quindi non solo si guadagna attraverso i figli, cosa già di per sé deprecabile, ma li si espone anche a tutti i rischi del web.
Dal punto di vista psicologico, invece, il rischio è di sviluppare un Falso Sé. Essendo esposti sin dall'infanzia sui social i ragazzi potrebbero sviluppare delle barriere difensive che compromettono l’essere persone autentiche. D’altronde non possono imparare la differenza tra pubblico e privato, quando tutto, persino le loro foto sulla tazza del water, viene postato sui social.