In Italia ci sono sempre più casi di revenge porn, l’avvocata: “C’è una soluzione ma parte da lontano”
Non è pornografia e non è nemmeno vendetta. Quello che chiamiamo revenge porn è un abuso che vuole umiliare e punire le vittime. Grazie alla tecnologia questo reato è cresciuto, sfruttando chat, blog, social. Lì vengono caricate foto e video sessualmente espliciti, e da lì, spesso parte una ragnatela di ricondivisioni che fa rimbalzare sui dispositivi contenuti privati condivisi senza il consenso. Secondo una nuova indagine condotta da Motorola insieme a Nielsen "1 GenZ su 4 conosce una vittima di revenge porn", eppure "la consapevolezza dei rischi legati alla condivisione di contenuti intimi non è così diffusa: il 50% lo rifarebbe", si legge nel report.
Le vittime spesso sono donne che non denunciano. E infatti i numeri del reato, nonostante siano in crescita, sono imparziali, viziati dal silenzio della vergogna. Come spiega il report, "i dati sulle denunce non sono confortanti e dobbiamo assolutamente considerare che il numero rappresenta soltanto la punta dell’iceberg, in quanto le donne hanno spesso paura e vergogna a denunciare". Abbiamo parlato con Francesca Romana Graziani, avvocata specializzata in reati informatici del Telefono Rosa per capire come difendersi e combattere il revenge porn.
Partiamo da una definizione: cos’è il revenge porn?
Letteralmente sarebbe porno per vendetta, un termine sbagliato dal punto di vista tecnico, è vero che di solito sono i partner che vogliono vendicarsi e minacciano, ma il termine vendetta rischia di colpevolizzare la vittima. Diciamo che generalmente il revenge porn include tutta la pornografia non consensuale, quindi la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite.
Quando è nato questo fenomeno?
Difficile dirlo. La codificazione del reato è arrivata nel 2019 con il Codice Rosso, che ha introdotto articoli specifici. Il fenomeno ha avuto una grande risonanza mediatica dopo alcuni casi di cronaca, penso a Tiziana Cantone o Giulia Sarti. Ed è iniziata una campagna di sensibilizzazione.
La tecnologia ha favorito il revenge porn?
Diciamo che la diffusione può avvenire anche per esempio con foto o manifesti appesi per strada, certamente la tecnologia è uno strumento che amplifica. Non solo, è anche lo strumento più utilizzato ma perché fa parte della nostra quotidianità e poi è il modo più immediato e semplice per raggiungere una grande diffusione in tempi brevi.
Di solito chi usa il revenge porn per vendicarsi? E di cosa?
Sono soprattutto partner, spesso un ex che dopo essere stato lasciato per vendicarsi decide di pubblicare immagini in suo possesso. Spesso infatti in questi casi le immagini sono state realizzate con il consenso ma poi vengono diffuse senza il consenso della vittima. Ma c’è anche un’altra fattispecie di reato che spesso non viene considerata ma che è altrettanto grave.
Quale?
Pensiamo sempre a chi invia per primo le immagini o video sessualmente espliciti, ma anche chi li riceve e sceglie di condividerli è colpevole. Facciamo un esempio, se una foto o un video del genere arriva sulla chat di calcetto e chi è dentro la diffonde, a sua volta sta commettendo un reato, anche lui è colpevole.
C’è un identikit di chi compie questo reato?
È molto difficile capirlo, i dati sono viziati dalle denunce che non vengono fatte, purtroppo le vittime spesso hanno paura o si vergognano, questo fenomeno si chiama vittimizzazione secondaria che spinge a chiudersi, non parlare, anche per il timore di essere giudicate.
È un fenomeno più diffuso tra i giovani?
Non coinvolge solo persone in età adolescenziale e giovanile, in realtà la fascia di età è piuttosto larga. Possiamo dire però che sono più rari i casi con persone più adulte.
Cosa intende con persone più adulte?
Ma dai 70 anni in su, anche perché usano meno la tecnologia.
Stando ai dati invece le vittime di revenge porn sono principalmente donne.
Sì, non è che non ci siamo uomini tra le vittime ma diciamo che cambia molto la situazionee qua entra in gioco la questione culturale che è il vero problema di questo fenomeno.
Si spieghi meglio.
Ecco se viene condivisa l’immagine di un uomo, in molti casi è un motivo di vanto, non sempre chiaramente. Se la vittima è una donna invece si cade nella spirale della vergogna. Ti faccio un esempio, il caso standard è: arriva un’immagine su un gruppo, viene scaricata, si ride della vittima, e magari viene pure ricondivisa. Cambierebbe completamente se le persone che si trovano su quella chat puntassero il dito contro chi decide di inviare certe foto e video per vendetta e creassero una rete di sicurezza intorno alla vittima.
E come si fa a spingere verso questa direzione?
Bisogna educare, perché siamo di fronte a un problema culturale. Spesso chi commette questo reato non ha la maturità sentimentale per affrontare un rifiuto. Serve un'evoluzione culturale per direzionare la vergogna non verso la vittima ma verso chi commette un reato. Serve una cultura diversa, un'educazione nelle scuole sin da bambini, ma ci vorrà tempo.
Nel mentre le vittime come possono tutelarsi?
Io consiglio di non isolarsi e di denunciare. Non è un percorso facile per la vittima, spesso non se la sentono e preferiscono lasciar perdere, però gli strumenti ci sono e bisogna attivarsi per innescare un cambiamento reale.