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Il modo in cui scrivi i messaggi svela quanti anni hai: come capire l’età percepita sui social

Frasi complesse, punteggiatura scolastica e poche emoji: così si capisce se l’interlocutore fa parte di una generazione più vecchia. La linguistica aiuta a comprendere come comunicano le diverse generazioni e il modo in cui la lingua può essere utilizzata anche per identificarsi come diversi rispetto ai nostri genitori.
A cura di Velia Alvich
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Il video su TikTok di Tyler Morgan, un content creator che si occupa di tecnologia, ha raccolto quasi tre milioni di visualizzazioni con una parodia su come le diverse generazioni scrivono messaggi. Per esempio, quelli che sanno digitare in maniera rapida e precisa con il pollice di una sola mano sono senza dubbio i più giovani. Con l’età, invece, si diventa più lenti e impacciati: una mano a sorreggere il telefono e con il solo indice dell'altra si preme sullo schermo per scrivere.

Per capire l’età di un interlocutore si possono anche scovare dettagli che tradiscono inequivocabilmente se l’interlocutore è un Baby Boomer o un Millennial, se fa parte della Generazione X o della Gen Z. Colpa (o merito) di come comunicano online.

Messaggi frammentati o come una email?

“Chi è nato fra gli anni '50 e '80 usa una forma di scrittura che si è sviluppata in ambito scolastico, mentre quelli nati dopo la rivoluzione tecnologica usano una modalità che molti chiamano parlato digitato”, dice a Fanpage.it Nicola Grandi, professore di linguistica e direttore del dipartimento di filologia classica e italianistica dell’Università di Bologna.

Le generazioni più giovani su WhatsApp inviano messaggi che sembrano discorsi “catapultati nello scritto”. Un approccio che si nota, innanzitutto, nel modo di suddividere i messaggi. “Spesso non hanno punteggiatura o una struttura sintattica articolata. Quando finisce una frase, anziché mettere un punto e cominciare un nuovo periodo, si clicca su invio per cominciare un messaggio indipendente rispetto al precedente”.

Per Beatrice Cristalli, linguista e consulente in editoria scolastica, è una questione che arriva da lontano, cioè dalla messaggistica istantanea usata dai più giovani all’epoca di Live Messenger. “A partire dai Millennial, che sono cresciuti in una preadolescenza e adolescenza digitale, hanno assunto il texting come metodo funzionale dell’utilizzo del telefono”. In sostanza, hanno usato lo smartphone per comunicare nella maniera in cui è stato inteso: un continuo frammentato di messaggi, sintassi semplice, “brevitas assoluta”.

“Baby Boomers e Generazione X hanno vissuto un’adolescenza tardiva con i telefoni cellulari. E si vede nella forma, perché intendono la messaggistica come le email”, aggiunge Cristalli. “Utilizzano subordinate, scrivono messaggi lunghi che hanno una sintassi tradizionale”. Tutta questione di sapersi adattare (o no). “Le generazioni più adulte hanno faticato a capire che ogni mezzo ha un suo linguaggio ed è per questo che li consideriamo ‘boomer’. Non solo questione di età anagrafica, ma di non riuscire ad adattarsi al linguaggio del digitale”.

Il ruolo delle emoji nella comunicazione via messaggio

La comunicazione non è solo testo, ma anche linguaggio iconografico. Insomma, immagini ed emoji. E sulle faccine c’è tutto un mondo da scoprire. O da fraintendere. Il simbolo del teschio, per esempio, è passato dall’indicare un fatto biologico a un’espressione come “morire dalle risate”.

C’è anche l’altro lato della medaglia, cioè utilizzarle proprio per evitare equivoci. “L’uso di emoji è una versione scritta degli aspetti paralinguistici del parlato, come le espressioni del viso e la tonalità della voce”, spiega Grandi. “Una battuta è tale perché vedo l’espressione e sento il tono di chi la sta dicendo. Nello scritto, senza tutto questo, può anche diventare qualcosa di offensivo”. Usarle è quindi un modo per segnare il confine fra ironia e offesa. “I più giovani considerano scontato usare tutti questi aspetti paralinguistici, mentre i boomer hanno più difficoltà a gestire l’aspetto iconografico”.

Lo stesso potenziale di fraintendimento vale anche per quando mettiamo reazioni ai messaggi su WhatsApp. Per Federico Boni, professore di sociolinguistica all'Università Statale di Milano, le reazioni ai messaggi sono altrettanto equivocaboli. "La risposta con il cuore è quella che per prima si può usare in molte piattaforme, da WhatsApp a Instagram", dice. "Il ventenne usa il cuore come modo per segnalare di avere ricevuto il messaggio, un cinquantenne ci pensa due volte e magari invece manda l'icona con l'ok perché è meno ‘impegnativa'".

Il significato delle emoji cambia in base a chi le usa

Emoji come modo per evitare equivoci. Oppure, al contrario, per non farsi capire. Come quella della tazzina di caffè usata per indicare un "comportamento femminile senza senso". Un significato nascosto (con spiccato retrogusto misogino) che è incomprensibile a chi non conosce già il senso dell'immagine. "Le emoji con un sotto-significato hanno una funzione: eliminare dalla comprensione le generazioni più adulte. Sono la cosa più facile da risemantizzare per essere non compresa. Con una parola è più difficile farlo", spiega Cristalli. Un'idea sostenuta anche da Boni: "Tutte le generazioni sono state consapevoli dell’importanza dei codici linguistici. E l’hanno sempre usata come un modo per mettere una barriera fra ‘noi' e ‘loro'".

Vietato copiare il codice linguistico di altre generazioni. Altro che avvicinarsi ai più giovani, il rischio è di suonare "cringe". "Se da cinquantenne dico che qualcosa è cringe, sono più vicino ai giovani di oggi? Oppure sono più cringe che a non dirlo?". E così si ottiene l'effetto contrario, quello di fare scappare le nuove generazioni nella direzione opposta. "Il linguaggio dei social spesso viene preso dalle generazioni precedenti, che cercano di usarlo o perché sono genitori che vogliono avvicinarsi al codice dei figli, oppure sono dei boomer che vogliono fare i giovani per sempre. Ma questo causa una fuga delle nuove generazioni, che si sbarazzano di quello che diventa un ‘fossile linguistico' che non gli appartiene più”.

Boomer che si mettono in ridicolo di fronte ai più giovani. Ma la ruota gira per tutti ed è un attimo che la generazione che fa dell'ironia diventa proprio quella da mettere alla gogna. Siamo proprio alle porte di un cambiamento: la Generazione Alfa (cioè i nati dal 2010 in poi) che si fa gioco dei Millennial. "Su TikTok ci sono già parodie rispetto a delle modalità di comunicazione dei millennial, a partire dalla pausa prima di un video. Mi aspetto che fra cinque anni, ma anche meno, ci sia uno iato ancora più grande che permetterà alle nuove generazioni di fare una grande parodia dei nostri modi di comunicare".

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