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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

I social stanno per affrontare un problema enorme con i video sugli ostaggi di Hamas

Negli ultimi giorni Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno, ha inviato una serie di lettere a Elon Musk e Meta per chiedere loro di migliorare la moderazione sui contenuti che riguardano la guerra tra Israele e Hamas. Il peggio però potrebbe non essere ancora arrivato.
A cura di Valerio Berra
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Hamas ha una struttura di comunicazione. Ha qualcuno che gira i suoi video, qualcuno che li monta, qualcuno che si occupa delle grafiche e qualcuno che lavora per distribuire questi contenuti sui canali ufficiali. Forse fa un po’ strano pensare che in mezzo ai bombardamenti di Gaza, con oltre 100 ostaggi di cui non si conosce il destino, ci sia qualcuno che decida (magari in un albergo in altro Stato) quale musica può creare più engagement. Eppure la guerra è anche comunicazione e la strategia del terrore è sempre passata anche dai social.

Tutto si basa su una rete di canali Telegram. È da qui che Hamas distribuisce la maggior parte dei suoi contenuti. Quelli più grossi sono da 80.000 e 130.000 iscritti. Pubblicano video, foto e testi a raffica. Da qui i contenuti vengono ripresi e distribuiti ovunque. Vengono pubblicati su altri canali Telegram, sui profili di X che accumulano contenuti macabri e suoi social con più moderazione, come Instagram e TikTok. Qui magari vengono oscurati più in fretta ma qualcosa rischia sempre di perdersi nelle maglie della moderazione.

Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno, ha già inviato una lettera sia a Mark Zuckerberg che a Elon Musk. Su X, il fu Twitter, l'Unione europea ha già deciso di aprire un procedimento formale per indagare sulla "diffusione di contenuti illegali e di disinformazione, in particolare la diffusione di contenuti terroristici e violenti e di discorsi di odio".

La paura per i video degli ostaggi

Hamas, spiega il Washington Post, ha minacciato di trasmettere i video degli ostaggi in diretta. Sia le immagini in cui vengono riprese le loro condizioni sia quelle delle esecuzioni. Il numero non è certo ma le stime più prudenti parlano di circa 100 persone. La paura che i video degli ostaggi comincino a circolare sui social ha portato l’Israeli Parents Association a chiedere ai genitori di disinstallare TikTok e Instagram dallo smartphone dei loro figli. Per poter puntare sugli ostaggi come scudo umano o come materiale di scambio Hamas ha bisogno che i loro video arrivino al pubblico più vasto possibile.

I mezzi e gli esempi ci sono. Dall’agosto del 2021 Telegram permette ai canali di trasmettere contenuti in streaming con un pubblico illimitato. Telegram vive fuori da qualsiasi tipo di regolamentazione. Pavel Durov, fondatore e attuale Ceo della piattaforma, ha spostato la sede legale della compagnia a Tortola, nelle Isole Vergini Britanniche. Il quartier generale invece è a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Telegram non collabora con nessuna autorità nazionale. In Italia ormai per le indagini di piccolo calibro non si prova nemmeno a contattarlo.

Qui, soprattutto in una Live, può essere pubblicato di tutto. E da qui le clip possono essere salvate e riprese ovunque, soprattutto se attorno ai video degli ostaggi si sviluppa un’attenzione morbosa. Pensate solo a quello che è successo in Italia questa estate: migliaia di utenti si sono messi a cercare informazioni sul video dello stupro a Palermo che ha avuto come vittima una ragazza di 19 anni. Certo. L’attenzione per queste immagini potrebbe portare anche dei criminali informartici a diffondere dei malware.

Impossibile fermare le live

Lunedì sera V., un ragazzo di 23 anni di Bologna, era in live su TikTok. Non è noto quanti spettatori ci fossero. Forse poche centinaia, forse un migliaio. A un certo punto V. ha deciso di suicidarsi in live. I dettagli non si conoscono ma tutto sarebbe durato pochi istanti. Da una serie di ricostruzioni sembra che i follower abbiano cercato di chiamare i numeri di emergenza. V. è morto lo stesso, mentre qualcuno lo stava guardando da uno schermo.

I contenuti in live sono difficili da moderare. La mole di materiale è altissima, i metodi per definire se un materiale è sensibile in modo automatico non funzionano ancora bene e anche una live che nasce nella camera da letto di un ragazzino vestito come il personaggio di un videogioco può trasformarsi nella diretta di un suicidio. È vero, la moderazione ora è più sofisticata di quella che nel 2019 ha permesso a un attentatore di pubblicare in streaming il massacro di 49 persone freddate in due centri islamici a Christchurch, in Nuova Zelanda.

L’unico modo con cui le live si riescono a moderare sono le segnalazioni degli utenti. Se il pubblico comincia a inviare segnalazioni in massa, il contenuto viene bloccato e l’account sospeso. Questo è un meccanismo che avviene in praticamente tutte le piattaforme. Spesso però quando lo sciame di segnalazioni si alza in volo, il contenuto che non doveva andare in live è stato già trasmesso.

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