I messaggi dei capi fuori dal lavoro prendono più di tre ore alla settimana: “Serve una legge per disconnetterci”
L'evoluzione tecnologica ha reso sempre più difficile marcare un confine netto tra il tempo libero e l'ambiente lavorativo. Mail, messaggi su WhatsApp, chiamate, arrivano anche fuori dai turni, alimentando la cultura del superlavoro. Per questo il Partito Democratico ha depositato una proposta di legge per introdurre in Italia il diritto alla disconnessione. Ne abbiamo sentito parlare per la prima volta nel nel 2001, quando una sentenza della Camera del lavoro della Corte suprema francese ha stabilito che "il dipendente non è tenuto né ad accettare di lavorare a casa né a portarvi i suoi documenti e gli strumenti di lavoro".
"Ora anche in Italia stiamo cercando di portare avanti la battaglia per il diritto alla disconnessione per tutti i lavoratori", ha spiegato a Fanpage.it Luca Onori, presidente di L'asSociata, associazione di promozione sociale. "Dal 2018 siamo diventati un punti di riferimento per ragazze e ragazzi, professionisti e studenti che si incontrano per sviluppare proposte di policy, cercando di riavvicinare le persone alla politica e di contribuire al progresso della società". L'asSociata è stata infatti promotrice dell'iniziativa, il 2 ottobre, a Montecitorio durante una conferenza stampa hanno presentato la proposta di legge. "Ci siamo resi conto che questa cultura del super lavoro è pericolosa, è necessario agire per marcare un confine netto e tutelare i lavoratori con il diritto alla disconnessione".
Partiamo dalle basi, cos'è il diritto alla disconnessione.
Vuol dire non avere la libertà di non lavorare fuori dal proprio orario lavorativo. Oggi conviviamo con la tecnologia, quindi si può essere contattati facilmente anche oltre il proprio orario di lavoro. Siamo di fronte a un abuso. Banalmente possono scriverti su WhatsApp, che dovrebbe essere una sfera privata, questo meccanismo provoca ovviamente dei danni a lungo termine alla salute mentale creando stress ai lavoratori.
Mi fai qualche esempio per capire in che modo non ci disconnettiamo?
C’è per esempio questo ragazzo che frequenta la nostra associazione e lavora in consulenza. Più volte gli hanno scritto quando era a casa, fuori dall’orario di lavoro, per chiedergli per esempio una presentazione per il mattino seguente. Questo è un classico esempio di una violazione del diritto alla disconnessione.
Come mai avete deciso di portare avanti questo tema?
L’obiettivo della nostra associazione è sedersi a un tavolo per raccogliere idee, poi insieme ai tecnici e alle istituzioni cercare una soluzione ai problemi che ci toccano, come dice sempre Alessandro Pancalli, che è un altro dei grandi promotori di questa battaglia, noi non protestiamo ma proponiamo, e quello del diritto alla disconnessione è diventato un tema.
Ecco all'interno della vostra associazione ci sono stati casi di persone che non sono riuscite a disconnettersi?
Certo, e infatti proprio parlando tra noi è venuto fuori il problema. Ci siamo resi conto che stando sempre con il cellulare in mano si è costretti a lavorare oltre gli orari prestabiliti.
La pandemia ha reso più difficile disconnettersi?
Sicuramente dopo la pandemia c'è stato un investimento sul lavoro on-line, pensiamo allo smart working, noi pensiamo che sia ovviamente uno strumento utilissimo, però non bisogna cadere nell’inganno che se si lavora da casa allora bisogna lavorare di più.
Anche perché lavorare troppo incide poi sulla qualità delle prestazioni.
Ma certo. Se si lavora 12 ore di fila il giorno dopo si è stanchi. Incide anche sulla produttività.
Il Partito democratico ora ha depositato una proposta di legge che sancisce il diritto del dipendente a non essere reperibile al di fuori dell’orario di lavoro
Sì, per la prima volta stiamo mettendo nero su bianco che il lavoratore, qualunque esso sia, ha il diritto di non rispondere alle chiamate e ai messaggi del proprio datore di lavoro, ma anche tra lavoratore e lavoratore. Non si può essere sempre reperibili e il lavoro extra va pagato.
Ecco, tu dici per la prima volta, ma esiste già una legge sul lavoro agile che riconosce il diritto di disconnettersi.
Ora la sanzione viene applicata solo se c’è una reiterazione del comportamento abusivo. Poi il Jobs Act parla di lavoro agile, quindi smart working. Noi vogliamo che venga applicato a tutti.
Sì, poi c’è da dire che la legge esistente lascia che la contrattazione avvenga tra lavoratore e datore di lavoro, non è una contrattazione tra pari.
Esatto, noi vogliamo renderlo universale, applicabile a tutti e vogliamo dire che dopo 12 ore di lavoro devono esserci poi 12 ore di pausa. Vogliamo andare quindi anche contro l’ottica del lavoro continuo.
Il diritto di disconnettersi è una consapevolezza generazionale? La GenZ si è staccata dalla cultura del super lavoro.
Sì, anche perché ci ritroviamo con lavori precari, non ben retribuiti, ambienti ipercompetitivi in cui poi non mi viene riconosciuto quanto diamo. Quanto vale la pena lavorare? Io penso che la nostra generazione abbia deciso di dare più valore alla vita privata, ai propri legami e interessi.
Facendo una stima, in media quante ore lavoriamo in più?
Non ci sono dati precisi, noi speriamo che poi il Parlamento dopo il nostro impulso raccolga dati più precisi. Dalle prime testimonianza raccolte in media chi lavora in grandi aziende riceve spesso mail o messaggi dopo aver staccato, circa una volta ogni due giorni, e si fanno tra le due e tre ore in più.
C’è un profilo lavorativo a rischio? Diciamo un identikit di chi in base all'ambito o al ruolo fa più fatica a disconnettersi?
Sì, sono sempre dati imprecisi però. Sicuramente tutto l’ambito della consulenza, o chi fa tirocini. In generale i giovani perché sentono di dover dimostrare, emergere, e vengono quindi assoggettati da questa cultura del lavoro morbosa che ti rende schiavo del sistema perché ti senti in dovere di dare.
E anche perché poi si ha paura delle ritorsioni.
Sai i ragazzi con cui abbiamo parlato noi hanno paura, non arrivano a fare quel passo proprio perché temono delle ritorsioni, e infatti è necessario fare anche un lavoro dal punto di vista culturale, bisogna cambiare una mentalità pericolosa.
Ci sono delle buone pratiche per disconnettersi davvero?
Con la proposta di legge noi chiediamo alle aziende con più di quindici dipendenti di dare un device aziendale che possono spegnere una volta usciti. Il mio consiglio è spegnere o non guardare troppo il telefono nel tempo libero. Poi se ti contatto su WhatsApp è un problema, quindi anche fissare dei limiti può essere utile, per esempio scegliere di impostare le comunicazioni lavorative via mail.
Il diritto alla disconnessione che effetti avrà?
Innanzitutto il benessere psicofisico del lavoratore, maggiore produttività, perché la gente lavorerebbe meglio. Poi avere un working life balance più sana e riprendere in mano la socialità. Infine è necessario regolare queste tecnologie, non devono essere uno strumento di abuso ma una possibilità per lavorare meglio.