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Gloria all’Auto-Tune, cos’è l’invenzione che non ha mai ucciso la musica

Un commento recente di Samuele Bersani ha fatto tornare di moda una vecchia polemica: a cosa serve davvero l’Auto-Tune? La sua invenzione ha distrutto la musica o ha permesso di creare qualcosa di nuovo? In questo articolo abbiamo ripercorso tutte le tappe più importanti della sua storia.
A cura di Elisabetta Rosso
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Siamo nel 1997, Mike Tyson prende a morsi l'orecchio di Holyfield sul ring di Las Vegas, Gianni Versace viene assassinato nella sua villa a Miami Beach, e da un finestrino abbassato di una Chevrolet Impala partono quattro colpi di pistola che finiscono nel torace di The Notorious B.I.G. Si fuma dappertutto e i dischi si ascoltano ancora sui walkman. È appena uscito il terzo album dei Radiohead, OK Computer, lo stesso mese viene lanciato anche il singolo Barbie Girl degli Aqua che vengono querelati dalla Mattel. In radio passano i Depeche Mode, gli Oasis, i The Verve, e i Daft Punk ma anche i Backstreet Boys che debuttano proprio nel 1997. È un anno eccezionale per la musica, controverso, dove sgomitano tendenze diversissime. E proprio nel 1997 il dottor Andy Hildebrand è davanti al suo Macintosh, sta creando un complesso insieme di algoritmi per interpretare i dati generati dal sonar e localizzare i depositi nel sottosuolo. L'Auto-Tune nasce per trovare il petrolio, non per intonare la voce dei cantanti. Eppure segnerà un prima e un dopo nel mercato musicale.

Da sempre l'Auto-Tune è stato marchiato come strumento disumanizzante per artisti stonati. A resuscitare le critiche è stato un post di Samuele Bersani, ha scritto su Instagram: “Mi hanno girato un video dove a uno di questi semidei contemporanei della rima “cantata” si stacca l’Auto-Tune per qualche secondo sul palco ed è stato come vedere Icaro colare a picco. Hai voglia a sbattere ali di cera”, il riferimento è a Sfera Ebbasta. È vero, l'effetto sintetico è stato il pass che ha fatto salire sul palco tamarri che glissano come oche che fanno i gargarismi, eppure non è solo questo. Ma per capire meglio facciamo un passo indietro. Esattamente al 1998.

Parte la traccia. Devi aspettare 36 secondi e poi arriva quel "I can't break through" metallico che taglia i timpani. Per la prima volta sentiamo l'Auto-Tune, è il 1998, "Believe" di Cher diventa un successo e la musica lascia per davvero il XX secolo. Anche se nessuno lo sa (ancora). Perché in realtà Mark Taylor e Brian Rawling, i produttori dell'album di Cher, cercano in tutti i modi di nascondere l'Auto-Tune, raccontano di aver utilizzato un pedale robotico per restituire alla voce qualcosa di sintetico. Poi il segreto viene scoperto e le tracce dell'Auto-Tune emergono in dischi R&B, dancehall, pop, house e country. Da quel momento l'effetto entra a far parte del mercato musicale. Nell'immaginario comune l'Auto-Tune appartiene all'universo trap eppure viene usato nel rock, nel pop, per molti il 99% dei brani in circolazione sono filtrati dall'Auto-Tune.

L'Auto-Tune sale sul palco

C'è però un punto di non ritorno, e avviene quando per la prima volta gli artisti decidono di utilizzare l'effetto in tempo reale. Premessa. L'Auto-Tune è un processore audio in grado di mascherare o correggere imprecisioni stonate, quindi in poco tempo diventa il sogno proibito dei produttori, che prima dovevano registrare centinaia di tracce vocali e poi con la pazienza dell'amanuense ricomporre il brano selezionando le parti intonate. Qualcuno comincia a usarlo come effetto, nel brano Believe hanno forzato l'Auto-Tune a livello 11 per snaturare la voce di Cher, anche i mostri sacri giocano con l'effetto. Nell'album Amnesiac, del 2011, i Radiohead lo applicano per dare vita al suono nasale della spersonalizzazione.

Poi però l'Auto-Tune esce dagli studi di produzione e sale sul palco. Non viene più applicato sulla voce ma è un filtro integrato nel microfono. È una protesi vocale che non lascia spazio al suono grezzo e naturale. MC come Future, Chief Keef e Quavo si trasformano in cyborg, gli artisti imparano a esasperare quel suono metallico, i glissati calanti, a giocare sulle voci sempre più sottili. Il precursore della tendenza è T-Pain, che duranti i live comincia a creare combinazioni estreme dei parametri per creare suoni vocali distintivi. 

Nei primi anni 2000 l'Auto-Tune diventa una costante degli album hip hop e R&B. Per esempio il singolo Sexual Eruption di Snoop Dogg, o Lollipop, ma anche Prostitute 2 di Lil Wayne con quei gracchi asmatici che sembrano prodotti da una laringe tagliuzzata. Dieci anni dopo l'effetto si trasforma nel marchio inconfondibile della musica trap. L'escamotage per far cantare chiunque sul palco, meglio se stonato, così l'effetto viene spinto ancora di più. Sfatiamo però un mito per onore della cronaca, Hildebrand, l'inventore dell'effetto, ha raccontato che i produttori dopo aver provato l'Auto-Tune lo hanno ringraziato dicendo: "Ora non dobbiamo preoccuparci di trovare persone intonate ma solo di bell'aspetto". Ed era la fine degli anni '90.

Le critiche all'Auto-Tune

Nel 2009 durante la cinquantunesima edizione dei Grammy Awards i Death Cab for Cutie indossano nastri blu per protestare contro l'Auto-Tune, lo stesso anno Jay-Z intitola il suo singolo DOA (Death of Auto-Tune). Poi Christina Aguilera indossa una maglietta con sopra scritto "Auto Tune is for Pussies", e il Times nel 2009 scrive "spero che il feticcio del pop per l'intonazione perfetta svanisca", e un anno dopo lo ha inserito nella lista delle "50 peggiori invenzioni". Anche Ed Sheeran insieme a Ellie Goulding aderiscono alla campagna "Live Means Live" del cantautore e compositore David Mindel per eliminare dagli spettacoli dal vivo ogni forma di artificio, in testa l'Auto-Tune. Gran parte dell'avversione nasce dall'idea che la tecnologia sia un inganno disumanizzante imposto al pubblico. Ma è davvero così?

La voce è manomessa da sempre

Facciamo un passo ancora più indietro. Sono gli anni '60, e Elvis Preasley usa l'eco slapback. I Beatles chiusi dentro gli studi Abbey Road invece cominciano ad apllicare il doppio tracciamento artificiale, un effetto raddoppiato leggermente fuori sincrono che restituisce un senso di straniamento, John Lennon è ossessionato dagli altoparlanti Leslie, li usa per snaturare la melodia rallentata poi sul nastro. Negli anni la voce viene manomessa da EQ, phasing, rimodellata, smontata, composta con sovratracce. Ma senza entrare nell'universo sperimentale, alla base di ogni prodotto registrato c'è l'artificio. Non solo, chi critica l'Auto-Tune in quanto strumento che omologa la voce non tiene in considerazione alcuni fattori. Innanzitutto può essere modulato e usato in maniera differente, e poi in realtà l'effetto è in grado di amplificare le sporcature della voce e non può invece intaccare i fraseggi, le cadenze, il portamento di una melodia.

Insomma, forse avevano ragione i Daft Punk. In risposta alle critiche sull'uso dell'Auto-Tune in One More Time Thomas Bangalter aveva detto: "Molte persone si lamentano dei musicisti che usano Auto-Tune. Mi ricorda gli ultimi Anni '70 quando i musicisti in Francia cercarono di vietare il sintetizzatore… Quello che non hanno visto è che potevi usare quegli strumenti in un modo nuovo invece che solo per sostituire gli strumenti precedenti".

Gli artisti che hanno usato bene l'Auto-Tune

Teoria a parte, gli esempi di chi ha saputo usare bene l'Auto-Tune ci sono. Vediamone qualcuno. Li abbiamo già citati, i Radiohead in “Packt Like Sardines in a Crushd Tin Box”, tirano fuori grazie all'Auto-Tune quell'effetto robot asettico che sdoppia, allontana, e fa tornare la voce con un movimento ondulatorio e ipnotico. "Gli dai una chiave e cerca disperatamente di cercare la musica nel tuo discorso e produrre note a caso", aveva raccontato Yorke. Che dire poi di "Woods" di Bon Iver dove le armonie multitraccia, piegate dall'autotune, si accumulano una dopo l'altra nel pezzo, quasi a raccontare di un'anima sempre più spezzata e dispersa.

Poi c'è Impossible Soul” di Sufjan Stevens, un brano monumentale di 26 minuti, a tenere legato tutto è un canto smaterializzato dove l'Auto-Tune lascia solo tracce emotive in punta di piedi. Di diritto entra anche la criticata One More Time dei Daft Punk che senza l'effetto non avrebbe mai restituito quell'atmosfera da party sintetico fatto da alieni fosforescenti. Ce ne sarebbero altre. A ogni modo sono sufficienti, chi usa l'Auto-Tune come strumento emotivo vince. Esistono le tamarrate degli stonati, purtroppo i glissati calanti hanno fatto anche sanguinare qualche orecchio, nonostante tutto, per quanto grotteschi, possiamo ancora dire: "Viva l'Auto-Tune".

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