Gli ultimi picchiaduro, cosa succede dentro i tornei dal vivo di Street Fighter in Italia
Il primo Street Fighter è stato pubblicato nel 1987. Quasi 40 anni dopo c'è ancora chi si incontra dal vivo per combattersi a colpi di combo. Nelle ultime settimane è successo a Roma, dove a inizio marzo è stato organizzata a Palazzo Brancaccio la Red Bull Kumite. Una competizione con 100 iscritti che nell’ultimo round ha visto Dhalsim contro Cammy, due team comandati rispettivamente dal milanese Andrea “Garnet” Parlangeli e dal nisseno Leandro “Geeck-O” Vilardo. Una rivalità ben nota all’interno della community italiana di Street Fighter. Il gioco, ovviamente, si è aggiornato. La versione usata per il torneo è il torneo di Street Fighter 6.
Chi segue gli e-sport in Italia
In Italia gli “sport elettronici” hanno grande riscontro in termini di pubblico e partecipazione – secondo il rapporto Deloitte 2023, il nostro Paese occupa il terzo posto dopo Spagna e Polonia nella classifica europea sul consumo di e-sport. Un numero di persone non indifferente, che include anche una grande diversità. Secondo IIDEA, Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani, il settore degli e-sport coinvolge un pubblico di uomini e donne (rispettivamente 60% e 40%), di diverse fasce d’età (dai 20 ai 40 anni), che è disposto a muoversi per seguire il proprio beniamino o la propria beniamina alla conquista della prossima competizioe.
Al torneo nazionale di Street Fighter 6 c’è stato un assaggio di questa partecipazione variegata dipinta dai dati, tra padri con figlie, appassionate in cosplay di Chun-Lee e Morena, comitive di ragazze e ragazzi e coppie innamorate. Un mix fatto di diversità, amicizie, adrenalina e passione collettiva per il videogioco, in questo caso Street Fighter, uno dei picchiaduro più iconici della storia del videogame. Il risultato è uno spaccato sociale contemporaneo interessante, che ben testimonia la vitalità e il successo di cui godono i picchiaduro (tanto che oggi si parla di un Rinascimento del genere) e gli eventi e-sport nel nostro Paese.
La vita dei pro-player di picchiaduro in Italia
Ma gli e-sport non solo una questione di divertimento e bella atmosfera, non per i partecipanti del torneo almeno. “In ogni picchiaduro avviene una battaglia, una sfida mentale testa a testa. Adotto una strategia come se fosse una partita di scacchi: porto avanti un pedone, tu un altro. Ogni pedone ha un suo movimento e una sua logica. Uno deve imparare a riconoscere cosa può fare ogni pezzo del gioco per contrattaccare a quelle mosse”, spiega al termine del torneo Geeck-O a Fanpage.it. “E quando i giocatori conoscono entrambe le possibilità, perde chi si scopre prima, o vince a seconda dell'idea che ha avuto. Considera che qua una partita dura 90 secondi”.
A questa riflessione si aggiunge anche il fattore emozione. “Chi non segue questo genere di competizione, vede due persone che schiacciano dei tasti e non capisce cosa succede a schermo, cosa proviamo quando siamo seduti là sopra a giocarcela per qualsiasi premio. Il lavoro mentale è quello di riuscire a gestire la pressione da torneo: c'è gente che urla e fa il tifo, ti viene l'ansia da prestazione”, aggiunge il vincitore del torneo di Roma, Garnet. “Le mani tremano per la pressione, portano a fare errori nell'esecuzione delle mosse. È importante mantenere sangue freddo e lucidità sul match, sulla situazione”. Questa forma mentis ha un nome specifico, mental stack. “Cioè la concentrazione senza farsi prendere dalla pressione di quello che ti circonda”, ha spiegato Garnet. “Chi vuole approcciarsi come giocatore, consiglio di fare esperienze come questa, dove c'è un pubblico presente. Fuori dalla camera personale, che è una zona di comfort”.
In effetti quella del pro-player di picchiaduro è un carriera individuale, racchiusa nella propria camera, dove è fondamentale conoscere se stessi e le proprie capacità. Per questo serve allenamento, costanza e desiderio di confronto con gli altri. Non solo col pubblico o col rivale, ma anche con il personaggio con cui si intende intraprendere questo percorso.
“In generale si sceglie il personaggio che piace, sia esteticamente sia nella personalità. Ci sono giocatori che vogliono il personaggio grosso e prestante fisicamente, chi gioca solo con personaggi femminili, e poi ci sono quelli che giocano personaggi solo per una questione di gameplay, ma secondo me è molto raro. Anche il pro-player che punta a vincere sceglie un personaggio che gli comunica qualcosa”, ha detto Geeck-O in merito alla scelta del personaggio in Street Fighter.
“Sui picchiaduro ci sono più livelli su cui ragionare. Diciamo che ci può essere anche l'elemento del portare il proprio stile nel gioco. Ad esempio, io uso Dhalsim, perché mi piacciono gli zoner, i personaggi che cercan tenere gli avversari il più lontano possibile con mosse attacchi a distanza. È uno stile su cui riesco a lavorare molto e a sentirmi a mio agio”, ha specificato Garnet. Il tasto dolente arriva quando si inizia a parlare di e-sport da una prospettiva professionale. Alla domanda se si può vivere da pro-player in Italia, la risposta di Garnet e Geeck-O è stata un secco “no”.