Final Fantasy VII Rebirth è perfetto per quest’epoca: il motivo è nell’ambiente in cui si gioca
Dicembre 1997, il protocollo di Kyoto viene approvato. Per la prima volta, la Nazioni Unite si impegnano ufficialmente a collaborare per contrastare l’inquinamento industriale e il cambiamento climatico causato da esso. Intanto, mesi prima, la giovane PlayStation di Sony aveva accolto tra le sue esclusive Final Fantasy VII, settimo capitolo della popolare serie di giochi di ruolo di stampo nipponico, oggi icona indiscussa tanto da avere una giornata ufficiale in Giappone. Il titolo racconta di un gruppo di attivisti ambientalisti che operano per contrastare la Shinra, una corporazione industriale che sta prosciugando l’energia vitale del pianeta e piegando la natura per il proprio profitto, senza alcuna etica. Siamo in un mondo fantasy a tratti futuristico, in cui regna lo sfruttamento, sia naturale che sociale.
Solo i colletti bianchi e i militari della Shinra godono di agi e benesseri, il resto della popolazione è costretta a vivere in luridi bassifondi o in villaggi affiancati da giganteschi agglomerati industriali, dove lo sfarzo più estremo nasconde le brutture. Cloud, Barret, Tifa e gli altri membri del cast di Final Fantasy VII sono pronti a tutto per porre fine a queste ingiustizie. Oggi che cambiamento climatico e inquinamento sono problemi più che concreti, PlayStation 5 è pronta ad accogliere Final Fantasy VII Rebirth, seconda parte dell’acclamato Remake del 2020, che non solo modernizza quanto fatto dal capitolo originale, ma estende storia e giocabilità con delle aggiunte inedite anche per i fan della prima ora. Una sorta di dejavu splendido, come si vedrà tra poco, ma al contempo dolceamaro per la potenza del suo racconto.
Come è fatto il mondo di Final Fantasy VII Rebirth
Dopo i fatti di Midgar di Final Fantasy VII Remake, Cloud e il resto della squadra partono alla ricerca di Sephiroth, il miglior soldato della Shinra. Un pretesto semplice per dare inizio a un viaggio ricco di tappe difficili da dimenticare. Kalm, Costa del Sol, Cosmo Canyon: elencare qui tutte le location che compongono le grandi aree di Final Fantasy VII Rebirth è inutile. Di cose da vedere o da fare ce ne sono a bizzeffe. Un fattore che potrebbe intimorire all’inizio, ma che poi si rivela non solo piacevole da giocare ma perfettamente funzionale alla caratterizzazione del mondo di gioco e dei suoi abitanti. Interagiamo con loro tramite numerose attività secondarie. Sì, ci sono le classiche missioni di caccia o di ritrovamento di oggetti scomparsi, ma accanto ci sono tante esperienze mordi e fuggi che spesso assumono la struttura di minigiochi divertenti e immediati, dando un senso costante di scoperta e partecipazione.
A Junon, il villaggio che non vede il Sole, abbiamo incontrato alcuni ragazzini che, sfruttando uno strano fumo generato dalle scorie della Shinra, riescono a trasformarsi in ranocchi e a giocare a Rana Salterina, così come ci ha colpito la storia di una madre disposta a mettere in secondo piano la propria famiglia per il bene del villaggio, anche se poi il figlio lontano resta la sua principale preoccupazione. Spaccati intimi, umani, a volte teneri e simpatici, altre volte malinconici. Il bello è che questa varietà di situazioni si ripercuote sul gameplay, offrendo prove sempre nuove e sfiziose. Una struttura di gioco ampia, ariosa e non lineare, molto diversa da quella del Remake del 2020, ambientato in un’unica metropoli, la cupa e claustrofobica Midgar.
In mezzo a questo corposo mix di storie si aggiungono quelle singole dei personaggi principali. Ciascuno di loro ha un motivo per combattere la Shinra e l’ideologia che incarna. Le loro ambizioni individuali danno origine a una lotta corale profonda e sfaccettata. Vero protagonista di Final Fantasy VII Rebirth non è quindi Cloud, ma l’intera squadra, e il gioco fa di tutto per farlo capire, tramite una serie di accortezze: dai dialoghi estemporanei durante le camminate, alle missioni per aumentare la simpatia che i membri della squadra provano nei confronti di Cloud, fino ad arrivare alle Azioni sinergiche, le quali rappresentano una delle principali novità di questa seconda parte.
Durante i combattimenti, dotati di componenti sia action che strategiche, potremo sbloccare delle potenti mosse a due per effetti devastanti contro i nemici. Un ulteriore esempio dell’unione tra scrittura e gameplay, in questo caso per riba dire la centralità del gruppo all’interno dell’esperienza. In generale, il sistema di combattimento appare più complesso e strutturato, a cui si affianca un sistema di progressione del personaggio ben congegnato, tra materie, equipaggiamento e abilità da sbloccare. Il risultato, sul campo, è uno spettacolo adrenalinico, che richiede concentrazione e studio dell’avversario, prima di gettarsi a capofitto con una gamma di possibilità d’attacco e difesa non indifferente. I nemici sono per lo più umani o belve.
Attenzione, perché sin da subito il gioco specifica che ci sono animali selvatici, come i cervi o gli uccelli chocobo, che devono essere lasciati in pace. Le belve invece sono da combattere perché aggressive e pericolose a prescindere. Una diversificazione un po' banale, che però differenzia il titolo da altri giochi simili, in primis Final Fantasy XV o XVI, che invece riducono gli animali virtuali a meri trofei. Si tratta di una scelta interessante, che ben si collega alla vena ecologista che caratterizza Final Fantasy VII.
Tutto questo viene esaltato da un comparto sonoro e grafico di prim’ordine. Le musiche immortali composte al tempo da Nobuo Uematsu propongono nuove sfumature e riarrangiamenti in grado di pizzicare le corde emotive di chi gioca. Ma il vero salto riguarda il comparto visivo. Già il Remake aveva dato prova dell'enorme lavoro di ammodernamento dei personaggi, passati dai pupetti poligonali in 3D del 1997 a personaggi dal design eccentrico, dettagliato e curato in ogni sua parte. Rebirth sfrutta appieno la potenza di PlayStation 5 tra giochi di luce suggestivi, effetti degli abiti realistici e soprattutto un'espressività dei personaggi che dà maggiore corpo al racconto corale finora elogiato. A colpire in particolare modo sono gli occhi, dotati di un'intensità davvero importante. In tal senso, da apprezzare anche la regia e le scenografia di intramezzi video e scene di dialogo.
Perché giocare a Final Fantasy VII Rebirth
Arrivati fin qui è chiaro che il gioco funzioni in modo egregio. Del resto, Final Fantas VII Rebirth è un salto in avanti netto rispetto alla prima parte uscita quasi quattro anni fa, da tutti i punti di vista. Quel che però è interessante in questa sede è la potenza del suo racconto. Giocando all'ultima epopea fantasy di Square Enix, viviamo una straordinaria fiaba videoludica, in cui emergono tematiche e critiche che riguardano la nostra contemporaneità. Un gioco che ha una sua visione, una sua morale, che tramite l'essenza di luoghi e personaggi, arriva forte e chiara. Sin dalle prime ore (ce ne vogliono una settantina per finirlo), nel gioco si percepisce la forza del gruppo e l'ambizione di combattere per un bene superiore.
Per riprendere un altro racconto, Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, Samvise Gamgee convince Frodo ad andare avanti nella distruzione dell'anello del potere attraverso queste parole: "C'è del buono in questo mondo, padron Frodo. È giusto combattere per questo". Ecco, Final Fantasy VII Rebirth applica in maniera curata e attenta lo stesso concetto, ma lo declina in chiave videoludica e giapponese. Un gioco che incarna un messaggio attuale e potente, che invita al rispetto per la natura e per le sue creature (inclusi gli umani).