Davvero Instagram sta censurando i post pro Palestina? Abbiamo provato a farci bloccare
Sono le 17:30 e abbiamo appena pubblicato su Instagram due Story sul conflitto in Israele. Nel testo abbiamo inserito alcune parole chiave, Gaza, Palestina, Hamas. Quelle che dovrebbero far scattare i ban. Diversi utenti sui social hanno segnalato il problema. Su Facebook e Instagram infatti sembra che siano stati bloccati i contenuti pro Palestina anche se non violano le regole delle piattaforme. Profili oscurati, contenuti meno visibili, post rimossi. D'altronde ci sono molti modi di combattere una guerra, e le piattaforme sono diventate nuovi terreni di scontro. Abbiamo così deciso di provare a vedere come funziona la censura sui social.
Dopo la pubblicazione delle storie ci accorgiamo subito che è impossibile vedere chi ha visualizzato i contenuti. Chiudiamo l'app, ricarichiamo la pagina, eppure anche cliccando in basso a sinistra non appare la lista dei profili. Dopo qualche minuto e diversi tentativi si apre, nonostante avessimo pubblicato la storia da 15 minuti solo un utente l'ha visualizzata. Passano 16 ore, controlliamo di nuovo.
Le storie non sono state né bloccate né eliminate, sembra però che Instagram abbia reso "meno visibili" i contenuti. Di solito dal profilo personale che stiamo usando le Story raggiungono in media 400 persone, quelle su Hamas arrivano a stento alle 100 visualizzazioni. Non solo, quando è scoppiato il conflitto abbiamo anche cominciato a seguire alcuni fotografi di Gaza, tra questi Wissam Nassar e Motaz Azaiza, la prima settimana sul nostro feed c'erano decine di post, negli ultimi tre giorni è scomparsa ogni traccia dei reporter.
La censura sui social
Anche Aya Omar, esperto di intelligenza artificiale, ha detto al New York Times di non riuscire a vedere gli account dei media palestinesi che segue regolarmente perché Meta e Instagram hanno bloccando gli account. Alcuni utenti hanno segnalato che Facebook sta sopprimendo anche profili pacifisti e boicottando sit-in organizzati sul social. "Instagram e Facebook stanno oscurando i post sulla guerra tra Israele e Palestina, a volte dicendo che i blocchi sono dovuti a difficoltà tecniche'", ha spiegato invece il think tank Hampton Institute in un post su X. E infatti Meta aveva già sottolineato che a causa di un bug alcuni contenuti erano stati temporaneamente sospesi. Andy Stone, portavoce di Meta, in un post su X ha aggiunto: "Questo bug ha interessato gli account in egual misura in tutto il mondo e non aveva nulla a che fare con l'argomento del contenuto: l'abbiamo risolto il più rapidamente possibile."
Un utente ha scritto che i social stanno bloccando anche i collegamenti per le donazioni a Gaza o ad altri enti di beneficenza a sostegno dei palestinesi, "appaiono interrotti e inaccessibili", spiega. Una ragazza sempre su X aggiunge: "Dopo aver pubblicato ieri una storia su Instagram sulla guerra a Gaza, il mio account è stato colpito da uno shadowban. Molti colleghi e amici giornalisti hanno segnalato la stessa cosa. È una minaccia straordinaria al flusso di informazioni e al giornalismo credibile su una guerra senza precedenti…". Un altro utente scrive: "Instagram sta davvero bannando post/storie relative alla Palestina… ho avuto zero visualizzazioni su tutte le mie storie mentre di solito ne ricevo almeno un paio entro un minuto dalla pubblicazione di una storia…"
Come vengono aggirati i ban di Meta
Gli anticorpi crescono in fretta, e gli utenti hanno già cominciato ad adottare strategie per aggirare i ban di Facebook e Instagram. Molti account suggeriscono di inserire nei contenuti pro-Palestina hashtag o emoticon a favore di Israele per ingannare l'algoritmo, per esempio l’attivista Mikaela Loach ha pubblicato un post sulla Palestina utilizzando gli asterischi nel testo per non incidere sulla sua visibilità. La modella Jessica Kahawaty invece in una storia ha avvisato i suoi follower: "Puoi anche mettere le GIF della bandiera israeliana sullo sfondo delle Storie per potenziare il tuo algoritmo". Nol Collective, un collettivo palestinese che lavora nel mondo della moda, ha invitato i follower a fare gli screenshot dei post sulla Palestina invece di condividerli direttamente sulle storie.
C'è anche chi sceglie altri social per diffondere post sulla Palestina. Per esempio LinkedIn è stato invaso da post, commenti, e articoli che denunciano la censura di Meta. Altri hanno trasformato i profili delle celebrità in nicchie sicure dove condividere notizie e opinioni sulla guerra. In primis l'account di Beyoncè, con 318 milioni di follower. Tra i commenti sotto i suoi post sono stati incollati messaggi su quello che sta succedendo in Palestina.
La risposta di Meta
In un post sul blog Meta ha spiegato: "Vogliamo ribadire che le nostre politiche sono state pensate per dare a tutti voce in capitolo mantenendo le persone al sicuro sulle nostre app. Applichiamo queste politiche indipendentemente da chi pubblica o dalle sue convinzioni personali, e non è mai nostra intenzione sopprimere una particolare comunità o un punto di vista". Meta non ha escluso problemi: "Dato il volume elevato di contenuti che ci vengono segnalati, sappiamo che alcuni post e video che in realtà non violano le nostre politiche potrebbero essere rimossi per errore".