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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cos’è la ghigliottina digitale: la campagna social contro le star che non si espongono su Gaza

Gli utenti stanno criticato le star, che hanno posato sul red carpet del Met Gala mentre fuori i manifestati marciavano per la Palestina. Solo due giorni prima dell’evento, Cindy McCain, capo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (WFP), ha annunciato che l’area a nord di Gaza stava attraversando una “carestia in piena regola”.
A cura di Elisabetta Rosso
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Haley Kalil, modella e attrice statunitense, voleva solo citare Maria Antonietta, e invece ha scatenato una campagna social. Il 6 maggio su red carpet del Met Gala è apparsa con un vaporoso abito floreale e un'acconciatura verticale settecentesca, ha guardato in camera e sussurrato "che mangino le brioches". La frase, di dubbia attribuzione, è diventata il simbolo di un'élite disconnessa che vive sulle spalle di un popolo affamato. E l'analogia con il conflitto in Palestina ha innescato la ghigliottina digitale (il riferimento è chiaramente alla Rivoluzione Francese).

L'idea è semplice: bloccare sui social quelle celebrity che non stanno sostenendo attivamente i palestinesi o si sono schierate a favore di Israele. L'obiettivo è ridurre la visibilità e, di conseguenza, i guadagni che arrivano dalle sponsorizzazioni con i brand. Diversi utenti hanno cominciato a pubblicare nomi di attori, artisti, influencer da bloccare. Oltre a Kalil nella lista nera sono comparsi anche Gal Gadot, Kim Kardashian, Zendaya, Noah Schnapp e Taylor Swift. Secondo NPR l'artista avrebbe perso circa 300.000 follower su TikTok e 50.000 su Instagram nell'ultima settimana.

Cosa c'entra il Met Gala con la ghigliottina digitale?

Tutto è iniziato con il Met Gala del 6 maggio. Gli utenti hanno criticato le star che posavano sul red carpet mentre fuori i manifestati marciavano per la Palestina. D'altronde solo due giorni prima dell'evento Cindy McCain, capo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (WFP), ha annunciato che l'area a Nord di Gaza stava attraversando una “carestia in piena regola”.

Il video di Kalil, poi, ha innescato la campagna che sui social è stata associata agli hashtag #blockout 2024, #celebrity block list e #digitine. L'attrice ha pubblicato un video di scuse, spiegando che la frase voleva solo richiamare un trend di TikTok, ha poi aggiunto: “Non sono abbastanza informata per parlare del conflitto in modo significativo".

Serve davvero il blockout sui social?

"Le star dei social media fanno molto affidamento sull'elevata visibilità e sul coinvolgimento per attrarre e mantenere accordi pubblicitari", ha spiegato ad Al Jazeera Eddy Borges-Rey, professore associato della Northwestern University in Qatar ed esperto di giornalismo digitale. Ma non basta smettere di seguire, per avere un impatto reale, spiega Borges-Rey, gli utenti dovrebbero bloccare gli account, "in questo modo si interrompe completamente ogni interazione con i suoi contenuti". Togliendo il follow, infatti, i video e le foto potrebbero comparire nel Feed consigliati dagli algoritmi.

Il meccanismo è semplice, più persone bloccano le celebrity, meno i contenuti diventano visibili, "questo può portare gli inserzionisti a percepire la celebrità come meno preziose, riducendo potenzialmente l'importo che sono disposti a pagare per la pubblicità sul loro profilo, influenzando così direttamente le loro entrate pubblicitarie".

Come hanno reagito gli utenti sui social

C'è chi sostiene il movimento, molti hanno condiviso anche video dove spiegano come sabotare le celebrity che sono rimaste in silenzio o hanno deciso di non sostenere la Palestina. C'è anche chi ha definito il blackout una forma di "attivisimo performativo" che rischia di distogliere l'attenzione dal conflitto in Palestina.

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