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Intelligenza artificiale (IA)

Cosa c’è dietro le foto che hanno fatto la storia? Lo svela l’intelligenza artificiale di Photoshop

La nuova tecnologia spalanca un vaso di Pandora. Dentro, tra le altre cose, c’è il problema della disinformazione. Ora che l’IA è arrivata sul software dei fotografi professionisti il limite tra falso e reale diventa sempre più sottile.
A cura di Elisabetta Rosso
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Nel 1994 (Photoshop già c’era), il Times pubblica in copertina uno scatto di OJ Simpson, il campione di football americano arrestato per l’omicidio della moglie. Nulla di strano, la foto è  ovunque, telegiornali, prime pagine, volantini, ma c’è un dettaglio che non torna. L’OJ Simpson del Times ha la pelle più scura. L'immagine era stata modificata con Photoshop, e così, forse per la prima volta, si comincia a ragionare sui rischi di una tecnologia in grado di manipolare la realtà. Ed era solo il 1994. Passano quasi 30 anni, e in mezzo ci sono nuovi tool, per scontornare, cambiare lo sfondo, diminuire il diametro di una coscia (Photoshop è stato messo alla gogna anche per i continui fotoritocchi alle modelle sui cartelloni pubblicitari), o far apparire il sorriso su un volto serio. Ora è stata integrata l’intelligenza artificiale.

In realtà sul mercato c’è già un’ampia gamma di generatori di immagini che funzionano bene, ma con Photoshop è diverso. La nuova funzionalità Beta, chiamata Generative Fill, permette in poche parole la sintesi tra realtà e artificio digitale. E ora è a disposizione di tutti, non serve nemmeno studiare, bastano circa 20 euro e un po’ di fantasia per creare immagini false che sembrano vere.

Noi ci abbiamo provato. Abbiamo selezionato alcune fotografie iconiche, dalla Ragazza Afgana di Steve McCurry, al Falling soldier di Robert Capa, in mezzo c’è anche lo storico sfondo di Windows, l’allunaggio e Bernie Sanders, le abbiamo caricate su Photoshop e testato la sua nuova funzionalità. È bastato guardare qualche video su TikTok e, in una mattinata, abbiamo capito come si eliminano le ultime barriere che dividono l’autentico dal falso. Ci sono ancora dei problemi, non è perfetto, ma basta avere pazienza. Visto i tempi, nemmeno troppa.

Il nostro esperimento con l'IA di Photoshop

Basta caricare l'immagine, premere su seleziona inverso e poi su genera. Tutto il resto lo fa Generative Fill. Integrata nella versione Beta di Photoshop, è la prima applicazione della Creative Cloud di Adobe a basarsi su Firefly, che verrà appilcato anche per Document ed Experience Cloud e in Adobe Express. Come ha spiegato l'azienda, Firefly è stata presentata 6 settimane fa per generare di immagini ed effetti di testo, gli utenti hanno già creato oltre 100 milioni di contenuti.

E così abbiamo provato la nuova funzionalità. I risultati sono stati soddisfacenti, ma l'intelligenza artificiale su Photoshop ha dei limiti. Non riesce per esempio a riprodurre il volto delle persone, crea strane macchie deformi, a differenza di Midjourney che è in grado anche di replicare il viso di personaggi particolarmente famosi in modo fedele. Non riesce nemmeno a rispondere a richieste specifiche. Quanto tempo perso dietro al cane sulle strisce pedonali di Abbey Road, nonostante avessimo spiegato nel prompt la direzione, (doveva andare da sinistra verso destra per essere allineato con i Beatles), l’IA di Photoshop si ostinava a puntare il muso del cane verso John Lennon. Prima del cane avevamo anche provato a inserire una quinta persona. Abbiamo dovuto generare 60 volte la stessa immagine (il limite massimo imposto da Photoshop per chiedere variazioni sullo stesso prompt) prima di arrenderci.

Non solo umani, anche con gli alieni fatica. Quando abbiamo chiesto di inserirne uno nello scatto dell’allunaggio ha sputato fuori extraterrestri in stile fumetto, saturati e decisamente poco realistici. Certe parole invece le blocca, anche se non sono violente, oscene o offensive. Quando abbiamo provato a inserire del fumo scuro nell’immagine sullo sfondo di Windows ci ha detto: “Mi spiace impossibile generare l’immagine perché viola le direttive”. Eppure avevamo scritto solo “fumo scuro”, lo stesso alert è apparso digitando “aria inquinata”. Non ci siamo stupiti invece quando ci ha bloccato dopo aver chiesto di mostrare “modelle in bikini”.

È però molto brava a essere prevedibile, d’altronde è una macchina. Quando abbiamo cercato di ampliare semplicemente i confini delle fotografie è riuscita a creare contesti credibili senza apportare grandi modifiche. Ogni tanto ha creato qualche figura strana, ma in percentuale le immagini prodotte dell’intelligenza artificiale hanno proseguito in modo fedele le linee troncate dai bordi della fotografia. Lo dimostra bene lo scatto di Robert Capa. The Falling soldier, che coglie l’istante in cui un uomo viene raggiunto da un proiettile mortale. È tra i più celebri scatti di guerra ed è stato contestato, molti affermano che si tratti di una foto impostata, nonostante l’autore abbia sempre negato. In questo caso l’IA ha semplicemente ampliato i confini della radura aggiungendo un tronco d’albero. In questo caso, come anche nello scatto di Steve McCurry, Ragazza afgana, l’IA ha seguito la prospettiva originale e rispettato le proporzioni.    

Fake news e disinformazione preventiva: i rischi dell'IA

La nuova tecnologia spalanca un vaso di Pandora. Dentro, tra le altre cose, c’è il problema della disinformazione. L’intelligenza artificiale è in grado di creare immagini false che sembrano vere, immagini che sono già diventate il punto di partenza per costruire fake news, si pensi agli scatti del falso arresto di Trump, su Twitter hanno alzato un polverone tra i fan dell’ex presidente i suoi nemici. Più innocue le immagini del Papa con addosso il piumino Moncler, che sono diventate un trend, abbiamo visto il pontefice vestito da gangster, insieme a ragazze avvenenti, con collane d’oro pesanti e macchine di lusso.

Ora che anche Photoshop integra la nuova tecnologia si rinforza quella che sta diventando una disinformazione preventiva. In un'intervista al Daily Beast, l'esperta di fake news e ricercatrice di Harvard Joan Donavan ha invece spiegato che "purtroppo questi strumenti per creare immagini realistiche sono molto utili per ingannare il pubblico. Stiamo assistendo a una nuova forma di disinformazione, dove le voci vengono trasformate in realtà attraverso la creazione di media che coprono eventi che non sono mai accaduti".

Photoshop in realtà sta lavorando a una etichetta incorporata nei file per denunciare l’intervento dell’IA su un’immagine. Il piano, chiamato Content Authenticity Initiative, vuole dare la possibilità ai creatori di dimostrare che un’immagine è vera. "Essere in grado di dimostrare ciò che è vero sarà essenziale per i governi, per le agenzie di stampa e per le persone comuni", ha detto Dana Rao, consigliere generale e chief trust officer di Adobe al New York Times. Il rischio però, come spesso succede, è che la tecnologia corra molto più veloce dei sistemi di sicurezza.

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