Con i batteri la pasta fresca si conserva fino a 120 giorni, la tecnica scoperta dai ricercatori italiani
Ad Altamura, Bari, dentro un pastificio, un team di scienziati italiani ha deciso di studiare 144 campioni di trofie. Sono state divise in tre set, confezionate in maniera differente e poi sono stati aggiunti azoto, anidride carbonica e batteri buoni. Il risultato è stato scoprire che la pasta fresca può durare fino a 120 giorni, (di solito si conserva tra i 30 e i 90 giorni).
Questa nuova tecnica potrebbe aiutare a contrastare lo spreco alimentare “apportando potenziali benefici sull'economia e sull'ambiente, stimolando l'innovazione nei modelli di produzione esistenti”, come spiega il team di ricerca sulla rivista Frontiers in Microbiology.
Come è stato impostato l'esperimento?
I ricercatori hanno diviso i 144 campioni di trofie in tre set da 48 pezzi ciascuno. Il primo campione è stato confezionato utilizzando una pellicola convenzionale e un'atmosfera di confezionamento composta dal 20% di anidride carbonica all'80% di azoto. Il secondo set è stato imballato dentro contenitori meno permeabili all'acqua e all'ossigeno, con un'atmosfera diversa: 40% di anidride carbonica e 60% di azoto. Il terzo campione è stato imballato con la stessa confezione del secondo set, ma è stato aggiunto all'impasto un composto probiotico multiceppo. Tutto è stato poi conservato alla temperatura di 4°C.
I risultati della ricerca
Il primo set, la pasta fresca industriale termotrattata con il metodo convenzionale, è durato 90 giorni, poi sono comparse le muffe. Il secondo e il terzo campione invece, avendo un’atmosfera quasi stabile, non hanno prodotto nessuna crescita fungina per 120 giorni. Il team ha anche spiegato che i microbi, quelli che consumano l’ossigeno e quindi generano le muffe, erano cresciuti nei campioni di pasta confezionati in modo tradizionale. Negli altri due set, invece, erano rimasti stabili.
La quantità di microbi presenti nell’impasto era minore nel terzo set, dove non solo avevano modificato l’imballaggio, ma aggiunto anche i probiotici. La soluzione migliore per estendere i tempi di conservazione è creare un ambiente composto dal 40% di anidride carbonica e dal 60% di azoto, e poi aggiungere dei probiotici nell’impasto per impedire la crescita di microbi indesiderati.
“I dati qui riportati incoraggiano ulteriori test volti a mettere a punto nuovi protocolli per l'uso, considerando la possibile implicazione che i microrganismi vitali che riposano negli alimenti possano esercitare potenziali effetti positivi sul microbiota intestinale dei consumatori, con conseguenze che restano da esplorare”, spiega lo studio nella sua nota conclusiva.
L'ultimo passaggio: l'analisi di fattibilità
In Italia le leggi dettano come deve essere prodotta la pasta nel Paese. La dott.ssa Francesca De Leo del Consiglio nazionale delle ricerche italiano e coautrice della ricerca, ha spiegato al The Guardian che il nuovo approccio è pienamente conforme alla legislazione. “È già stato testato con il pastificio con cui abbiamo collaborato. Lo studio, infatti, è stato progettato partendo dall'analisi dei bisogni dell'azienda".
De Leo ha aggiunto che, sebbene siano stati considerati i costi dell'innovazione e l'azienda coinvolta nello studio abbia approvato e utilizzato il processo per il proprio impianto, non c’è ancora un’analisi di fattibilità a medio e lungo termine. “Bisogna considerare che i costi, in relazione ai probiotici, sono bilanciati dal miglioramento della produzione con la possibilità di ampliare i mercati di vendita”, ha affermato.