Come ha fatto l’adesivo All Eyes on Rafah ad aggirare qualsiasi censura sui social
L’immagine mostra una veduta aerea di un accampamento ordinato, le tende di colore più chiaro vanno a comporre la scritta “All eyes on Rafah”, dietro compaiono montagne innevate, il cielo è azzurro. Rafah è molto diversa dalla foto diventata virale sui social, le tende non sono ordinate, bruciano, in mezzo all'accampamento ci sono i detriti dei bombardamenti e il cielo è grigio e denso per il fumo. Eppure l'adesivo è diventato un monito per richiamare l'attenzione sugli attacchi israeliani a Rafah.
L'immagine è stata pubblicata per la prima volta da un fotografo malese, ed è stata condivisa attraverso l'adesivo "Tocca a te" da oltre 42 milioni di persone, numeri che cresceranno ancora. La catena social è iniziata dopo l'attacco israeliano del 27 maggio al campo profughi nella città di Rafah, sono morte 45 persone, 180 invece i feriti. "All eyes on Rafah" riprende le parole del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che ha condannato “con la massima fermezza” i raid aerei sul campo profughi.
Ma come è possibile che prima per parlare del conflitto era necessario usare angurie e algospeak, e ora uno slogan pro Palestina è diventato virale sui social? Il motivo è semplice. La catena non è data in pasto all'algoritmo, elude quindi i meccanismi di censura che potrebbero utilizzare le piattaforme. Funziona grazie alle ricondivisioni degli utenti che, semplicemente toccando sull'adesivo, possono ripubblicare l'immagine.
Non solo. La foto, realizzata con l'intelligenza artificiale, non fa un chiaro riferimento visivo alla guerra, quindi non può essere catalogata dalla piattaforma come violenta, offensiva o pericolosa dai sistemi di moderazione delle piattaforme.
La censura su Instagram e Facebook
Secondo Human Rights Watch (HRW) 1.049 contenuti pacifici che esprimevano sostegno alla Palestina sono stati rimossi tra ottobre e novembre 2023. L’Osservatorio palestinese per le violazioni dei diritti digitali ha segnalato invece 1.043 casi di censura tra il 7 ottobre 2023 e il 9 febbraio 2024 su Facebook e Instagram. Non stupisce, già nel 2021 durante le proteste di Sheikh Jarrah erano stati cancellati dai social contenuti pro Palestina, Meta aveva anche sospeso gli account e hashtag filo-palestinesi.
Il rapporto sui diritti umani della BSR pubblicato nel 2022 spiega che contenuti arabi sono sottoposti a una moderazione ferrea, al contrario, quelli ebraici sono sotto moderati, "nonostante l’incitamento all’odio in lingua ebraica e l’incitamento alla violenza dilaganti sulle piattaforme di Meta, la società non ha sviluppato un Classificatore della lingua ebraica per rilevare e rimuovere tali contenuti", spiega il rapporto. A settembre 2023 Meta ha annunciato la creazione di un "classificatore della lingua ebraica" che sembra però non essere stato attivato.
Cosa è successo dopo l'attacco del 7 ottobre
Dopo l'attacco del 7 ottobre, Meta ha manipolato i suoi filtri per applicare standard più severi per i contenuti generati in Medio Oriente e in Palestina. Secondo il Wall Street Journal ha "abbassato la soglia dei suoi algoritmi per rilevare e nascondere i commenti che violano le Linee guida della community dall’80% al 40% per i contenuti provenienti dal Medio Oriente, e del 25% per i contenuti provenienti dalla Palestina".
Alcuni utenti hanno segnalato che Facebook ha soppresso anche profili pacifisti e boicottato sit-in organizzati sul social. "Instagram e Facebook stanno oscurando i post sulla guerra tra Israele e Palestina, a volte dicendo che i blocchi sono dovuti a difficoltà tecniche", ha spiegato il think tank Hampton Institute in un post su X. A ottobre 2023 Instagram ha persino aggiunto la parola "terrorista" sui profili di alcuni utenti palestinesi.
Come gli utenti hanno aggirato la censura
I sistemi algoritmici di moderazione dei contenuti hanno avuto un impatto determinante sulle parole che scegliamo e hanno spinto gli utenti a creare una nuova lingua esopica: l'algospeak. Viene usato dagli utenti per impedire che i post vengano rimossi o nascosti sui social. Si dice "non vivo" invece di "morto" e "melanzana piccante" al posto di vibratore. L'algospeak è diventato anche una risorsa per parlare del conflitto sui social.
Parole come “Palestina”, “genocidio” e “Hamas” vengono tradotte in un linguaggio che sta diventando sempre più strutturato. Si usano numeri, storpiature, asterischi, emoji e assonanze. Molti utenti hanno cominciato a usare l'emoji dell'anguria, simbolo della Palestina, per aggirare la censura sui social. Al posto degli hashtag #freepalestine o #fromtherivertothesea appare il frutto. C'è anche chi ha sceglie altri social per diffondere post sulla Palestina. Per esempio LinkedIn è stato invaso da post, commenti e articoli che denunciano la censura di Meta.
La risposta di Meta
I portavoce di Meta hanno negato più volte la censura sui social "stiamo applicando le nostre politiche a livello globale durante un conflitto in rapido movimento, altamente polarizzato e intenso, che ha portato ad un aumento dei contenuti che ci vengono segnalati”, ha spiegato commentando il rapporto dell'Human Rights Watch. “Le nostre politiche sono progettate per dare voce a tutti e allo stesso tempo mantenere le nostre piattaforme sicure”.
Meta ha anche aggiunto alla CNBC che “visti i maggiori volumi di contenuti che ci vengono segnalati, sappiamo che i contenuti che non violano le nostre politiche potrebbero essere rimossi per errore”.