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Manovra 2025

Caso Web Tax, Benifei (Pd): “È una legge assurda, stanno cercando di recuperare soldi ovunque”

Nel testo dell’ultima Legge di Bilancio è stato inserito un paragrafo sulla Web Tax, la legge nata per colpire le Big Tech. Fino a questo momento la Web Tax era riservata alle aziende multinazionali che si occupano di servizi digitali con fatturati oltre i 750 milioni di euro. Con la nuova versione la tassa sarebbe estesa a tutte le società che pubblicano contenuti online, compresi i piccoli giornali.
Intervista a Brando Benifei
Eurodeputato Pd e relatore dell'Ai Act
A cura di Valerio Berra
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Forse il problema è che non si capisce l’obiettivo. Nel testo della Legge di Bilancio per il 2025 si può trovare un paragrafo di poche righe sulla Web Tax. Teoricamente questa tassa nasce per colpire le Big Tech: è dedicata alle aziende che pubblicano contenuti in rete ma si limita solo a quelle con un fatturato globale sopra i 750 milioni di euro. Nella versione presentata con l’ultima Manovra il ministero dell’Economia ha tolto tutti i limiti di bilancio. Risultato? Se il testo passa così com’è qualsiasi società che pubblica contenuti online dovrà versare nella casse dello Stato un’aliquota pari al 3% dei ricavi.

Come si può intuire i primi a farne le spese sono i giornali che lavorano online, di qualsiasi dimensione, che così verranno equiparati a colossi come YouTube e Instagram. E infatti nelle ultime settimane sono arrivate diverse voci contro questa tassa, anche dalla maggioranza. Ne abbiamo parlato con Brando Benifei, eurodeputato eletto nelle liste del PD e relatore dell’Ai Act, la legge europea per regolamentare l’uso e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Da tempo si parla di una Web Tax europea. Che differenza c’è con quella italiana?

La differenza essenziale rispetto alle proposte di cui sia ta parlando in Europa è che la Web Tax disegnata dal governo va a colpire tutte le realtà: senza differenze di fatturato. Non si distingue più tra un un piccolo giornale online e una Big Tech.

Che senso ha togliere questa distinzione?

Io lo trovo assurdo. In Italia dovremmo incentivare l’ambito dei servizi digitali e sostenere le piccole e medie imprese che cercano di lavorare in questo settore. Stanno cercando di recuperare soldi ovunque.

Quali sono gli effetti di una tassa del genere.

Si disincentiva la digitalizzazione dell’economia in Italia, un tema su cui già siamo arretrati. Non solo. Dobbiamo anche pensare a come vengono lette queste misure dagli Stati dell’Unione Europea. Finora stiamo stiamo provando a muoverci in maniera compatta: come succede per il Digital Service Act.

C’è chi legge questa tassa come un attacco diretto ai giornali. Sicuramente non aiuta.

Credo che in questo caso prevalga uno spirito di fare cassa in modo miope, senza prevedere. Non ci vedo un disegno ma l’incapacità di capire quanto possa pesare una scelta del genere sulla nostra economia.

È da anni che si parla di una Web Tax europea, limitata sempre alle grandi piattaforme. Al momento i risultati mancano: a che punto siamo?

Il lavoro su questo è fermo. Nelle prossime settimane avremo come Parlamento Europeo nuove audizioni con i commissari che si occupano sul tema ma adesso è difficile definire una tempistica chiara.

La scelta degli Stati Uniti di eleggere Donald Trump come presidente cambia qualcosa su questo tema?

È difficile dirlo, almeno adesso. Quello che ho paura è che con Donald Trump presidente ogni Paese cerchi di costruire un rapporto privilegiato, senza passare dall’Unione Europea. Soprattutto per temi che riguardano tasse e dazi. Se entriamo in queste dinamiche, dove ognuno va in ordine sparso, il futuro è abbastanza chiaro: sarebbe la fine del progetto politico europeo.

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