Anche nel mondo dei videogiochi c’è un problema con l’inclusione e ora si comincia a parlarne
Molestie, minacce, aggressioni. Di matrice omofoba, razzista, sessista. Atti del genere non sono nuovi all’interno delle community del mondo ludico, inteso come videogiochi, giochi da tavolo, giochi di ruolo, narrativi. I recenti scandali alla GDC di San Francisco ne sono l’ennesima dimostrazione. Eppure, non sempre chi urla di più rappresenta la maggioranza. Accanto a violenze e slogan da social, c’è un florido bosco di gruppi, associazioni e movimenti che opera per avere una società più giusta ed equa. E per farlo utilizza il gioco a 360 gradi. Anche in Italia.
Lo scorso 1-2 aprile, la Casa della Cultura di Firenze ha ospitato Invisibil3, un evento caratterizzato da panel, laboratori e attività, gestito da persone con diverse esperienze personali e professionali del settore ludico.“Giocare significa sognare e sognare significa elaborare nuovi futuri, accedere a cose che sembravano impensabili", recita il manifesto di Invisibil3 su Instagram. “Futuri che siano visibili, accessibili, sostenibili. Dove si formino circoli virtuosi tra creatric3, editor3 e giocatric3. Dove voci nuove possano creare storie e meccaniche mai pensate. E dove se non capiamo, possiamo fermarci ad ascoltare”.
Una visione che punta al confronto e all’apertura intersezionale per l’accrescimento personale e professionale. Dietro a tutto questo ci sono Mattia Belletti (owof games), Daniele Bonaiuti (Arcigaymerz Firenze), Marco Spelgatti (owof games) e Letizia Vaccarella (Pink*), con cui noi di Fanpage.it abbiamo parlato in merito ai temi dell’evento.
Perché le nuove rappresentazioni fanno paura
La cultura pop non è solo intrattenimento, ma un gigantesco potere attraverso cui plasmare gli immaginari e quindi la cultura stessa di una società. Del resto, ritrovare se stessi su schermo (e non solo), permette di comprendersi e sentirsi parte di una collettività. Eppure tutto questo fa paura a tanti. “Probabilmente, in alcuni gruppi, un certo tipo di rappresentazione viene vista come un’invasione di campo nel senso che ci sono certe comunità che si sono definite proprio attorno ad alcuni valori negativi, attorno ad un certo tipo di maschilità o di discriminazione”, afferma Belletti. “Nel momento in cui certe realtà entrano nel mondo che, secondo loro, gli apparteneva, come quello del gioco, lo vedono come se qualcuno gli stesse rubando qualcosa e, invece di vederlo come un'estensione di spazi, lo vedono come un'invasione”.
Da qui le reazioni di astio contro la parola “inclusività”. Ma è corretto parlare della varietà di rappresentazioni in questi termini? “Parlare di inclusività dà per scontato che ci sia una comunità che deve accogliere chi è fuori da tale comunità” precisa Vaccarelli. “Che si ponga l'accento su questa inclusività, diventa già discriminatorio perché vuol dire che io devo sottostare a quelle che sono le tue regole”.
Come sono adesso le rappresentazioni nei giochi
Nonostante il clima attuale non sia dei migliori, di passi avanti ne sono stati fatti. “In ambito di giochi più commerciali, mi viene in mente Tell me why [del team di sviluppo di Life is Strange NdA], perché è stato fatto un ottimo lavoro per cercare di raccontare la questione trans mettendo le voci narranti al centro” afferma Spelgatti, anche se comunque precisa che le innovazioni più interessanti provengono dal panorama indipendente. He fucked the girl out of me, Inkenfell, Milky Way Prince, Hades: sono solo alcuni dei tanti videogiochi indie recenti che presentano personaggi o tematiche queer.
Anche sul fronte giochi di ruolo (o GDR) è evidente una certa apertura verso questi temi. “Ci sono considerazioni interessanti relative all'introduzione di tematiche intense e importanti al tavolo, di cura reciproca tra le persone che giocano”, afferma Belletti. “Sono tutti discorsi che si scontrano con quella minoranza rumorosa che tende a vedere il gioco solo come un momento di divertimento dove, se hai dei problemi, devi gestirli da solo. Invece questa è una prospettiva diversa, di cura delle persone al tavolo dove si possono affrontare tematiche complesse: negli ultimi anni, sono saltati fuori molti giochi dove si parla di questioni di genere, di orientamento sessuale, di discriminazioni ecc”.
Nel settore dei giochi da tavolo la situazione è invece più complessa. “Rimane tra i più rigidi”, ci spiega Bonaiuti, perché legato a meccaniche e strutture fisse e ad ambientazioni tradizionali. “Da una parte abbiamo assistito a una diminuzione dei giochi a eliminazione, mentre adesso si tende a creare esperienze in cui chi partecipa può arrivare fino alla fine anche in ambiti competitivi e questo è un passo avanti, basato sull'idea della collaborazione”. Tuttavia, all'interno delle case editrici ci sono “ancora grandissimi problemi nell'integrazione di persone delle comunità LGBTQ+, queer, o banalmente di donne designer".