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Intelligenza artificiale (IA)

Abbiamo composto questa canzone usando solo l’intelligenza artificiale. Ed è pure orecchiabile

A volte crea solo suoni brutti, altre è la spinta verso progetti straordinari. L’intelligenza artificiale e la musica hanno già una storia lunghissima che è iniziata negli anni ’90.
A cura di Elisabetta Rosso
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Esiste già un Eurovision song contest per l’Intelligenza artificiale ed esistono anche generatori di testi che ispirano il gotha dell’arte (Bowie insegna). L’Intelligenza artificiale è parte integrante del mercato musicale e funziona. A volte è un frustrante miscuglio di suoni brutti, altre uno strumento che innesca nuovi guizzi creativi.

Provare per credere. E così ci abbiamo messo mano. Abbiamo creato tre brani usando solo l’intelligenza artificiale dell’algoritmo di Aiva. Il risultato è una sequenza organica, solida, estremamente basilare. L’orecchio allenato potrebbe scovare tracce digitali. Tutto sommato scegliendo (non a caso) di rimanere dentro i confini del Lo-Fi, della techo francese e del cyberpunk, le ripetizioni modali e gli schemi ostinati non sono poi così sospetti.

Come funziona Aiva

Nasce francese nel 2016, l’idea è di Pierre Barreau. Comincia con Bach, Beethoven, Mozart e poi scansiona tutte le opere di musica classica. Aiva, immagazzina, elabora, mescola e poi produce pezzi originali. L'algoritmo si basa su architetture di apprendimento profondo e apprendimento per rinforzo. Oggi il compositore elettronico è in grado di proporre generi differenti: pop, rock, tango, elettronica. Per creare il proprio brano basta accedere, selezionare lo stile desiderato, gli strumenti, e la durata del brano. È anche possibile scegliere i bmp e la nota dominante. Poi basta cliccare su “Genera” e in 15 secondi Aiva produce un brano seguendo le indicazioni dell’utente.

A esperimento fatto possiamo dire che l'incubo distopico è anacronistico. L'intelligenza artificiale non soppianterà gli artisti. Al massimo potrebbe diventare il nuovo colletto blu del mercato musicale. Creare jingle, sigle, brani “funzionali”, per evitare il continuo ricorso alla musica stock o library nelle sonorizzazioni audiovisive. Non solo, se usata bene può diventare una risorsa. I musicisti potrebbero addestrare modelli di apprendimento automatico con i dati per raggiungere determinati sound, oppure potrebbero alimentare le reti neurali degli algoritmi con preferze melodiche e pattern ritmici. È un terreno di sperimentazione che, in parte, è già stato calpestato.

Esiste già una storia tra IA e musica

Siamo negli anni ‘90, Brian Eno e David Bowie giocano con un randomizzatore di testi digitale, per intercettare frasi capaci di ispirare i loro brani. Funziona. Sei anni dopo David Cope artista e scienziato ossessionato dal blocco dello scrittore (vissuto da lui stesso) crea Emi (Experiments in musical intelligence) un programma capace di scrivere composizioni nello stile di Bach. Poi ci mettono mano anche le band. Il progetto indie rock Yacht ha istruito un sistema di apprendimento automatico. Ha alimentato una serie di macchine con gli ultimi lavori, con i brani preferiti, quelli con cui sono cresciuti (totale 82 canzoni), e poi sono stati analizzati i testi, le melodie, è stato rimescolato tutto e il risultato è Chain Tripping, l’album creato con l’IA.

Il produttore Arca invece ha composto una colonna sonora per la riapertura del MoMa di New York, ancora oggi entrando è possibile sentirla. Una sequenza sonora generata da Bronze, l’Ia in grado di non far mai suonare la musica allo stesso modo, è una trasmissione dal vivo in perenne mutamento. La cantautrice sperimentale Holly Herndon nel 2019 ha presentato Proto, un album in cui si è armonizzata con una versione IA di se stessa.

Non poteva mancare Björk con un progetto dove l’uomo c’è ma perde quasi la sua struttura antropomorfa. Alla Björk diciamo. L’artista infatti grazie all’IA ha creato un paesaggio sonoro generativo vivente per l’hotel Sister City di New York. Si chiama Kórsafn (in islandese “archivi dei cori”) una composizione in cui musica corale e arrangiamenti cambiano in base al meteo e alla posizione del sole. E la lista sarebbe ancora lunghissima.

I nuovi spazi conquistati dall'IA

C’è anche un Eurovision song contest per l’IA. Nel 2020 è stato organizzato un festival da alcuni sponsor, un po’ per sopperire lo stop della pandemia, un po’ per sporcarsi le mani sperimentando “cose”. Tredici squadre composte da artisti e sviluppatori provenienti da vari Paesi hanno inviato le loro canzoni costruite con l’aiuto dell’IA e le hanno sottoposte al voto online del pubblico. Ha vinto Beautiful the World del collettivo australiano Uncanny Valley. Stampino pop, impreziosito dai versi di animali australiani, ci sono anche i koala. E poi c’è Jukebox. Il progetto a cura di OpenAi, ha studiato 1,2 milioni di canzoni su LyricWiki, e poi ha generato spezzoni di canzoni con musica e testo ispirandosi a Frank Sinatra, Katy Perry, al freejazz. La musica gira bene, la voce no.

Sono comparsi anche gli Auxuman, un collettivo di personaggi in 3D guidati dall’intelligenza artificiale. Tutto nasce nella testa dell’artista anglo-iraniano Ash Koosha. Crea una band dove ognuno ha la sua personalità. Per capirci la frontwoman, Yona, legge Margaret Atwood. Anche Lil Miquela canta e scrive canzoni. Lei è la virtual influencer più popolare al mondo. Il suo volto generato attraverso la tecnologia Cgi (computer-generated imagery) dalla startup Brud è stato usato da Samsung, Prada, Calvin Klein e Youtube. Quando non sponsorizza prodotti posta foto o racconta i battibecchi amorosi. Ora è entrata nel mercato musicale, tra i pezzi più famosi c’è Machine. Per chiudere una Sailor Moon che è diventata pop star. Si chiama Hatsune Miku, e anche lei dà voce all’IA. Codini turchesi che svolazzano, e cravattino pan dan. Il suo nome tradotto è la “prima voce del futuro”. In Giappone è scattata un’isteria di massa durante i suoi concerti, (il merchandising è andato a ruba), insomma è proprio una diva, androide.

Sia le immagini sia la musica sono state create con l'intelligenza artificiale.

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