Vivere con la cefalea da suicidio, Fabiana: “È come il dolore del parto. Ho avuto la diagnosi dopo 7 anni”
Il 9 luglio 2020 il Senato ha votato una legge che ha riconosciuto la cefalea primaria cronica come malattia sociale. Per le persone che in Italia soffrono di questa grave condizione è stato un risultato importante ma non sufficiente: lo status giuridico di malattia sociale non implica infatti quello di malattia invalidante. In Italia, ancora oggi, la cefalea non compare nelle tabelle ministeriali per l'attribuzione della percentuale di invalidità civile, tranne in Lombardia.
Oltre il danno, la beffa. Soprattutto per chi soffre delle forme di cefalea più invalidanti e dolorose, come la cefalea a grappolo, detta anche "da suicidio" (qui abbiamo spiegato di cosa si tratta): una condizione che causa dolori lancinanti, alternati a periodi di remissione, e per la quale non esiste una cura definitiva, ma solo farmaci per provare ad alleviare il dolore.
Da quando ha scoperto di soffrirne, Fabiana Giagnorio, ha capito che la sua vita non sarebbe stata più la stessa. Oggi ha 37 anni e fa la professoressa di inglese in un istituto superiore, ma la "bestia" – come la chiama lei – l'accompagna da quando ne aveva 14. Grazie anche all'aiuto di associazioni a difesa dei malati di cefalea, come l'AIC (Associazione Italiana per la Lotta contro le Cefalee) e l'OUCH (Organisation for the Understanding of Cluster Headache). Eppure, oltre il dolore fisico ha dovuto subire per anni anche la superficialità di commenti del tipo "È solo un mal di testa, sei tu che esageri".
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Come hai scoperto di avere la cefalea a grappolo?
Ho 37 anni e combatto con la cefalea a grappolo da quando ne avevo 14. È a quell’età che ho avuto il primo episodio, un attacco di dolore per cui sono finita in pronto soccorso, ma non avendone avuti altri durante l’anno, nessun medico allora ipotizzò che si trattasse di cefalea a grappolo. Fino a quando, un anno dopo, all’età di 16 anni, ho avuto un secondo attacco. Lo ricordo benissimo: ero a scuola, stavo facendo un corso pomeridiano. Il dolore fu così lancinante che mi fece svenire. In quell’occasione, per la prima volta i medici parlarono dell’ipotesi di una forma di cefalea. Ma prima di avere una diagnosi certa avrei dovuto aspettare ancora tanto.
E da quel momento, cosa è successo?
Da quel momento la bestia – io la chiamo così – non mi ha lasciato più: è diventata cronica, nel senso che mi accompagnerà per tutta la mia vita. Fino a oggi, sono stati davvero pochi i momenti in cui la malattia mi ha concesso di avere una vita normale. Ma a farmi male, soprattutto agli inizi, è stata la difficoltà che gli stessi medici hanno avuto nel riconoscere il mio dolore e la mia malattia.
Cosa significa vivere con la cefalea a grappolo?
La cosa che fa più male è sentirsi dire: “È solo un mal di testa”. La cefalea a grappolo non è solo un mal di testa, è una condizione cronica causata da una malformazione congenita dell’ipotalamo, che produce una proteina, la CGRP, oltre i livelli normali. Questa iperproduzione causa la vasodilatazione e quindi un difetto nei vasi sanguigni che innescano dolori atroci. Sono considerati al pari dei dolori del parto. Non c’entra nulla lo stress, l’essere ansiosi o avere una soglia del dolore troppo bassa. Non siamo noi a dirlo.
Che tipo di dolare è?
Il dolore della cefalea a grappolo non è soggettivo. L’Oms lo ha classificato come uno dei dolori più strazianti mai provati dall’uomo.
Dopo quanto tempo ti è stata diagnosticata la cefalea a grappolo?
Per anni, anche dopo tutti gli accertamenti, analisi e tac al cervello comprese, ho incontrato molti neurologi che non capivano la natura di quel dolore. Alcuni di loro hanno perfino incolpato me. Mi dicevano che ero troppo apprensiva, troppo ansiosa, che dovevo solo pensarci di meno. Per me questo è inaccettabile, perché una società che giustifica il dolore non può dirsi civile, citando Paolo Rossi, un neurologo di Roma scomparso qualche anno fa. Eppure oggi succede ancora: non solo con la cefalea, ma anche con altre malattie, come la fibromialgia o l’endomediocrosi. Chi soffre di queste condizioni, purtroppo ancora poco note, spesso non si vede riconosciuto il proprio dolore.
Poi però qualcuno è riuscito a capire che cosa ti faceva stare così male…
Dopo circa 7 anni trascorsi tra medici e dottori, nel 2006, finalmente una neurologa di Chieti mi ha fatto la diagnosi, e dato che io mi ero trasferita a Roma mi ha indirizzato all’Ospedale San Raffaele di Roma. La dottoressa mi parlò chiaro. Nel 2006 non c’erano cure, se non la profilassi cortisonica, a cui io mi sono sottoposta per anni. Tanto che ho preso molti chili e soprattutto ho sviluppato una forte resistenza al cortisone. Spero di no, ma se in futuro, per qualsiasi motivo, avrò bisogno di una cura cortisonica, non mi farà più effetto.
Ci sono dei trattamenti che hanno almeno alleviato il tuo dolore?
Nel 2017 sono arrivata al Centro di Cefalee del San Raffaele di Roma, diretto dal Prof. Piero Barbanti. Qui ho preso parte alla sperimentazione di fase tre per l’introduzione degli anticorpi monoclonali come trattamento della cefalea a grappolo. In quei mesi sono stata benissimo, ma purtroppo era una sperimentazione e una volta finita non ho potuto accedere più a quel trattamento. Spero che prima o poi verranno introdotti, ma per queste cose i tempi sono sempre piuttosto lunghi. Mi sono sottoposta anche a delle anestesie facciali che servono ad alleviare il dolore, ma so che prima o poi la bestia tornerà. La mia è una condizione cronica quindi non potrò mai guarire del tutto.
Riesci a lavorare quando hai queste crisi di dolore?
Purtroppo non ho molte alternative. Nessuno con la cefalea a grappolo ce le ha. La cosa davvero grave è che questa malattia non viene riconosciuta come causa di invalidità. A me personalmente è stata riconosciuta una percentuale di invalidità davvero minima, non abbastanza per accedere alla legge 104. Noi malati di cefalea non abbiamo neanche diritto all’esenzione dal pagamento del ticket. Quando i dolori si fanno insopportabili e non mi permettono di uscire di casa mi metto in malattia. Non posso fare altro.
Com’è cambiata la tua vita con la terapia monoclonale?
La terapia monoclonale ha leggermente migliorato la qualità della mia vita, anche perché devo dire che quando sono arrivata al San Raffaele le mie condizioni erano davvero gravi. La malattia mi rendeva impossibile tutto, anche dormire. Ero arrivata a un punto in cui mi svegliavo ogni due ore per il dolore, mi facevo la puntura di triptani e mi riaddormentavo, ma nell’arco di due ore l’effetto svaniva e mi svegliavo di nuovo in preda al dolore.
Molte volte durante gli attacchi ho avuto voglia di morire. Parlando con altre persone affette da questo problema ti accorgi che non sei tu a essere strana, ma è il dolore che è così lancinante da farti sentire senza via di uscite. Non è un caso se la chiamano anche “cefalea da suicidio”.
Quali altri farmaci potete utilizzare per alleviare il dolore?
L’altro farmaco che noi malati di cefalea a grappolo utilizziamo sono i triptani al momento della sintomatologia (si tratta di farmaci che interferiscono con i meccanismi che regolano la pressione sanguigna, spiega l'Istituto superiore di sanità). Io porto sempre una puntura dietro perché se ho una crisi non posso sopportare il dolore. Il farmaco alla base è il triptano e nonostante io sappia che l’uso eccessivo può portare gravi conseguenze al cuore ne ho abusato e ne abuso tutt’ora. Ma non pensate che sia un capriccio, è una necessità.
Inoltre, anche l’ossigenoterapia può aiutare ad alleviare i dolori. Ma la bomboletta da zaino non è sufficiente, bisognerebbe utilizzare la bombola d’ossigeno che si usa in ambito ospedaliero per avere un effetto sul dolore. Ma nessuno può uscire di casa, andare a lavoro e fare una vita normale portandosi dietro una bombola d’ossigeno. Anzi, averla con sé in automobile è perfino illegale perché in caso di esplosione potrebbe essere davvero pericoloso per le persone a bordo, e non solo.
Riesci a reperirli facilmente?
Assolutamente no. Non solo alcuni farmaci, come i triptani non sono sempre disponibili nelle farmacie, ma spesso gli stessi medici non sono preparati su questa malattia e fanno resistenza a prescrivere i farmaci di cui abbiamo bisogno. A me è successo che la guardia medica non volesse darmi l’ossigeno. In alcune Regioni i triptani sono praticamente introvabili e questo è un problema gravissimo perché per noi malati di cefalea a grappolo sono dei farmaci salvavita.
Per questo è fondamentale fare sensibilizzazione e preparare meglio il personale medico e ospedaliero a relazionarsi con chi soffre di cefalea a grappolo. Spero che prima o poi nessuna persona con questa condizione dovrà subire di venire curata con farmaci completamente inutili, come gli antinfiammatori, o di vedersi negati quei pochi medicinali in grado di alleviare il suo dolore. Ma soprattutto mi auguro che più nessuno nelle mie condizioni si sentirà dire: “Non esagerare, è solo un mal di testa”.