Vitamina D inefficace per Covid e prevenzione delle fratture nei sani: stretta sulle prescrizioni
L'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha deciso di modificare le linee guida per la prescrizione degli integratori di vitamina D e dei suoi analoghi, il colecalciferolo e calcifediolo, due forme di vitamina D3. La vitamina D, infatti, non è una singola sostanza, ma è composta da un insieme di pro-ormoni liposolubili suddivisi in cinque distinte vitamine. L'AIFA, in parole semplici, hanno cambiato i criteri che stabiliscono quando è opportuna o meno la supplementazione della vitamina D, rendendoli più stringenti. La decisione è stata attaccata frontalmente dalla professoressa Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), che in un'intervista all'ANSA l'ha definita senza mezzi termini una mossa legata a una logica economica “ma non clinicamente valida”.
A spingere l'Agenzia Italiana del Farmaco a cambiare le linee guida i risultati di recenti indagini scientifiche, che hanno evidenziato come la Vitamina D non solo non sarebbe efficace nel modificare il rischio di frattura nelle persone sane che non presentano “fattori di rischio per l'osteoporosi”, ma non avrebbe nemmeno alcun beneficio rilevante contro la COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2 . Tra gli studi più importanti a suffragio della decisione dell'AIFA ve ne sono due. Il primo è “Supplemental Vitamin D and Incident Fractures in Midlife and Older Adults” pubblicato a luglio del 2022 sul The New England Journal of Medicine, la più autorevole rivista in campo medico al mondo. I ricercatori coordinati dalla professoressa Meryl S. LeBoff avevano concluso che l'integrazione di vitamina D3 “non comporta un rischio significativamente inferiore di fratture rispetto al placebo tra gli adulti di mezza età e gli anziani generalmente sani che non sono stati selezionati per carenza di vitamina D, ridotta massa ossea o osteoporosi”.
Il secondo studio citato dall'AIFA è “Effect of Vitamin D Supplementation, Omega-3 Fatty Acid Supplementation, or a Strength-Training Exercise Program on Clinical Outcomes in Older Adults” pubblicato su JAMA nel 2020, nel quale è stato dimostrato che tra gli adulti con più di 70 anni (non affetti da importanti condizioni mediche sottostanti) l'integrazione vitamina D3 non determina miglioramenti statisticamente significativi nella prevenzione delle fratture non vertebrali, nella pressione, nella funzione cognitiva e altro ancora. Insomma, nessuno dei due studi randomizzati e controllati con placebo ha rilevato benefici dalla supplementazione di vitamina D nei soggetti sani.
Alla luce di queste ricerche, l'AIFA ha deciso ad esempio di rivedere al ribasso le concentrazioni di vitamina D sierica (in assenza di determinate condizioni) ai fini della rimborsabilità. La decisione, come indicato, è stata duramente attaccata dalla professoressa Colao. “La nuova stretta sulla prescrizione di vitamina D è basata su una logica economica ma non clinicamente valida. Il risultato è che i cittadini ormai quasi sempre la pagano per conto loro”, ha chiosato l'esperta all'ANSA, aggiungendo che “studi sperimentali mostrano quanto sia importante per tantissimi apparati, da quello immunitario a quello scheletrico”. Per questo sottolinea l'importanza di condurre studi più approfonditi che valutino la salute generale delle persone.
La vitamina D, che viene principalmente sintetizzata esponendosi alla luce del Sole, ha come primario compito quello di regolare il metabolismo del calcio, pertanto “è utile nell’azione di calcificazione delle ossa”, come spiegato dall'Istituto Humanitas. Ma la sua carenza è uno degli argomenti più dibattuti in letteratura medica, tanto che alcuni, come l'illustre professor Tim Spector del King's College di Londra non ha esitato addirittura a definirla una “pseudo-malattia inventata per vendere integratori”. Durante la pandemia di Covid diversi studi ne hanno evidenziato l'efficacia nel prevenire le complicazioni e la morte per l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, tuttavia le indagini più recenti e approfondite non hanno fatto emergere tali benefici. Da qui la decisione di introdurre criteri di "appropriatezza prescrittiva" più stringenti da parte dell'AIFA, riportati nella nota 96.