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Vita su altri pianeti, Amedeo Balbi a Fanpage.it: “Se siamo soli nell’Universo lo capiremo entro 20 anni”

La notizia del possibile rilevamento di molecole organiche intimamente associate alla vita sulla Terra sul lontano esopianeta K2-18b ha riacceso i riflettori su una domanda che attanaglia l’umanità da tempi immemori: siamo soli nell’Universo? Grazie alle nuove tecnologie ci stiamo avvicinando a questa risposta epocale. Per conoscere l’importanza e il significato del nuovo studio Fanpage.it ha intervistato il professor Amedeo Balbi, astrofisico dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Intervista a Amedeo Balbi
Professore di Astronomia e Astrofisica presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, divulgatore scientifico e saggista
A cura di Andrea Centini
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Illustrazione dell'esopianeta K-12b. Credit: ESA/Hubble
Illustrazione dell'esopianeta K-12b. Credit: ESA/Hubble

In questi giorni ha fatto il giro del mondo la notizia del rilevamento di composti solforati organici peculiari sul pianeta extrasolare K2-18b, un potenziale mondo oceanico sito nel cuore della costellazione del Leone, a 124 anni luce dalla Terra. Non si parla infatti di molecole qualsiasi, bensì di dimetil solfuro (DMS) e/o di dimetil disolfuro (DMDS) che sulla Terra significano una cosa ben precisa: vita. Sul nostro pianeta questi gas sono prodotti solo ed esclusivamente da esseri viventi, in particolar modo dalle minuscole alghe del fitoplancton, ma anche da batteri e funghi durante la decomposizione. Come affermato con entusiasmo alla BBC dall'autore principale dello studio, il professor Nikku Madhusudhan dell'Istituto di Astronomia dell'Università di Cambridge, ciò che è stato scoperto “è la prova più forte finora che ci sia vita là fuori”.

Per avere la conferma della presenza di questi composti, tuttavia, ci vorranno ancora un paio di anni. Erano già stati rilevati un paio di anni fa con strumenti diversi, sempre installati sul Telescopio Spaziale James Webb; ora, grazie al sensibile MIRI che opera nel medio infrarosso, abbiamo un nuovo segnale definito “forte e chiaro”. Le ulteriori osservazioni di follow-up dovrebbero presumibilmente ridurre al minimo l'incertezza statistica sulla presenza nell'atmosfera di K2-18b delle suddette molecole, ma anche qualora venissero confermate, non ci troveremmo innanzi alla “pistola fumante” in grado di dirci se c'è vita oppure no su K2-18b. Non si può infatti escludere che dimetil solfuro e/o di dimetil disolfuro possano scaturire da qualche processo abiologico e geofisico a noi sconosciuto. Per comprendere meglio l'importanza di questa affascinante scoperta scientifica, Fanpage.it ha contattato il professor Amedeo Balbi, docente di Astronomia e Astrofisica presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, divulgatore scientifico e saggista. Ecco cosa ci ha raccontato.

Illustrazione dell'esopianeta K2-18b. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan (University of Cambridge)
Illustrazione dell'esopianeta K2-18b. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan (University of Cambridge)

Professor Balbi, per prima cosa le chiediamo cosa significa aver potenzialmente rilevato questi composti chimici sull'esopianeta K2-18b e perché è una scoperta scientifica importante.

Intanto la premessa che vorrei fare è che la misura della possibile presenza del dimetil solfuro, che come diceva era già stata fatta, ora è stata ripetuta e in questo momento ha una significatività superiore della precedente. Ma ancora non è una certezza definitiva. Semplicemente, è un fortissimo indizio della presenza di questo composto. Seconda premessa da fare: sì, è vero che il composto è legato all'attività biologica sulla Terra, però non è impossibile immaginare scenari in cui venga prodotto da attività non biologica. Anche su questo la questione resta aperta. Significa semplicemente che stiamo diventando capaci di misurare appunto la presenza di composti nell'atmosfera di pianeti intorno ad altre stelle. È sicuramente una bella cosa e una capacità importante quella di saper fare questo tipo di misure, però serve ancora molto tempo prima di capire bene come stanno effettivamente le cose, sia in questo caso che in generale.

Gli autori dicono che entro un paio di anni, con osservazioni di follow-up, avranno la conferma della presenza di queste sostanze. Una volta ottenuta la conferma, possiamo fare qualcosa con gli strumenti a disposizione – o con quelli che arriveranno nel prossimo futuro – per sapere se siamo innanzi a un'attività abiologica, oppure se c'è davvero una forma di vita aliena a produrre questi composti?

La cosa importante da capire di queste ricerche, che nei prossimi anni si verificheranno con una frequenza sempre maggiore perché abbiamo strumenti che stanno facendo tutti osservazioni di questo tipo, è che non è possibile mai dare una risposta netta, immediata. Sarà sempre un processo in cui bisognerà mettere insieme diversi indizi, tante diverse osservazioni. Per esempio, in questo caso specifico, una cosa che va capita è se questo pianeta ha effettivamente le condizioni adatte a provocare quel tipo di traccia biologica. Mi spiego meglio; se dovesse venire fuori che è un pianeta che non ha oceani come si pensa e come dicono gli autori dello studio – in questo momento non è ancora chiaro – chiaramente la probabilità che quella traccia sia associata a organismi che devono vivere negli oceani risulta ridotta. C'è un recente modello alternativo che dice proprio che non è un pianeta con oceani, ma un pianeta gassoso. Se viene fuori che è un pianeta gassoso, a quel punto uno deve “inventarsi” un meccanismo non biologico. È importante mettere insieme tante diverse osservazioni che ci danno informazioni complementari. Se io trovo presunte tracce di vita su un pianeta che però, per altre ragioni, sembra molto improbabile che possa ospitare la vita, allora questo getta una luce diversa anche sul tipo di misura che ho fatto. È difficile rispondere a queste domande in una maniera binaria, sì o no, perché è molto più complicato di così, è un processo lungo. Non sarà mai deciso nel giro di una notte.

Secondo lei prima o poi riusciremo ad averla una risposta vicina alla certezza, oppure resteremo nel dubbio fino a quando in un lontanissimo futuro riusciremo a coprire questi 124 anni luce (che sono parecchi)?

Questo in realtà ce lo possiamo dimenticare. Li osserveremo solo da lontano questi pianeti. Quello che riusciremo a fare sarà aumentare progressivamente la nostra convinzione, cioè la fiducia sulle misure raccolte. Sarà un processo graduale; non è possibile fare una previsione certa su una cosa del genere. Effettivamente, in un paio d'anni, facendo ulteriori osservazioni gli autori dello studio pensano di poter dire con una quasi ragionevole certezza che quella molecola c'è. Ma anche se quella molecola ci fosse, come ho spiegato la storia non finisce lì. Bisogna capire se questa molecola l'ha creata il plancton marino oppure un processo non biologico. E quindi sarà un graduale aggiungere informazioni fino a quando, a un certo punto, avremo escluso tutte le possibilità e fatto tutte le verifiche. Arriveremo a dire “va bene, 100% no, però siamo vicini”. In questo momento non siamo lontanamente in grado di fare una un'affermazione del genere.

Secondo lei di cosa si tratta?

Io rimango a osservare, perché la cosa giusta da fare quando si usa il metodo scientifico è raccogliere tutte le informazioni e sospendere il giudizio, fino a che non si è ragionevolmente certi di quello che si dice. Queste misure sono sicuramente molto interessanti e importanti, il gruppo che le ha fatte è un gruppo molto stimabile e affidabile. Sicuramente hanno fatto tutte le verifiche del caso, quindi è sicuramente un lavoro ben fatto, però, ripeto, siamo ancora molto lontani dal poter dire che abbiamo trovato le prove che c'è vita su un altro pianeta. In questo momento non possiamo dirlo.

Lo spettro con la firma dei composti organici sull'esopianeta K2-18b. Credit:
Lo spettro con la firma dei composti organici sull'esopianeta K2-18b. Credit:

Le concentrazioni di questi composti sarebbero migliaia di volte superiori a quelle terrestri, per questo gli autori dello studio ipotizzano che questo mondo iceano, come lo chiamano, possa essere brulicante di vita all'interno di un immenso oceano. Cosa ne pensa?

Questo è un altro degli elementi che si aggiungono a quello che dicevo prima, un'altra informazione che ci aiuta anche a interpretare i dati raccolti. Chiaramente deve essere fatto un modello di quale potrebbe essere il tipo di biosfera necessario per produrre quel tipo di molecola. Se viene fuori una cosa del tutto implausibile, allora forse possiamo dire che non è la vita. Perché in effetti noi non sappiamo come in un pianeta del genere – che secondo questo modello sarebbe fatto da un oceano profondo centinaia di chilometri – possa adattarsi o evolversi la vita. Siamo di nuovo nel campo delle supposizioni. L'aspetto eccitante ed entusiasmante da raccontare è questo: che siamo per la prima volta in condizione di fare queste misure e di fare questo tipo di studi, ma è ancora presto per le conclusioni.

Secondo lei quand'è che riusciremo a rispondere alla domanda sul fatto di essere soli oppure no nell'Universo? Indipendentemente da questo studio, o magari dalle missioni su Marte, Encelado ed Europa, quando pensa che arriveremo a una risposta del genere?

Io penso che nell'arco di uno o due decenni avremo molto più chiaro come stanno le cose. Ovviamente nessuno può dire in questo momento se la troveremo o no la vita, perché non sappiamo nemmeno se c'è. Però diciamo che nei prossimi due decenni, tutte le osservazioni che faremo sicuramente ci daranno una risposta almeno parziale. Comunque ne sapremo sicuramente di più, ma molto di più di quanto ne sappiamo adesso. Adesso cominciamo ad avere gli strumenti per fare un certo tipo di ricerche, siamo appena agli inizi e quindi ci sarà sicuramente un'accelerazione in questo senso. Quale sarà la risposta questo non lo sa nessuno, ma avremo le idee più chiare nell'arco di una ventina di anni. Su questo penso che possiamo essere molto fiduciosi.

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