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Verme di 8 cm estratto vivo dal cervello di una donna: cosa sappiamo e quali sono i rischi

Il nematode, Ophidascaris robertsi, è generalmente un parassita dei pitoni: nel caso della donna, una 64enne australiana, la trasmissione sarebbe avvenuta per via oro-fecale, in seguito al consumo di erbe autoctone su cui un serpente infetto può aver diffuso le uova del parassita attraverso le feci.
A cura di Valeria Aiello
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Sta facendo discutere il caso di una donna australiana di 64 anni che, dopo aver sofferto per più di un anno di una serie di sintomi, ha scoperto di avere un verme parassita di 8 centimetri nel cervello. I neurochirurghi dell’ospedale di Canberra, nel Nuovo Galles del Sud, che hanno individuato il verme, estraendolo vivo, sono riusciti a risalire al nome della specie, Ophidascaris robertsi, un nematode che generalmente è un parassita dei pitoni e che, prima d’ora, non era mai stato segnalato negli esseri umani. “Ulteriori casi potrebbero emergere a livello globale – avvertono i medici su Emerging Infectious Diseases – . Il rischio è continuo perché gli esseri umani e gli animali interagiscono strettamente”.

Ophidascaris robertsi, il verme estratto vivo dal cervello di una donna

Ophidascaris robertsi è un nematode della famiglia degli Ascarididi, un tipo di verme cilindrico che si trova in Australia, dove di solito è un parassita dei pitoni tappeto (Morelia spilota), considerati ospiti definitivi. Altre specie di Ophidascaris sono diffuse in Europa, Asia, Africa e nelle Americhe, e hanno come ospiti diversi generi di serpenti. La caratteristica di questi vermi è quella di colonizzare l’esofago e lo stomaco di questi rettili che, attraverso le feci, diffondono le uova del parassita nell’ambiente.

Nel mondo animale, la trasmissione di Ophidascaris avviene per via oro-fecale, per cui quando piccoli mammiferi – che fungono da ospiti intermedi – ingeriscono le uova, si stabiliscono le larve, che migrano verso gli organi toracici e addominali, dove possono raggiungere una lunghezze considerevoli (7-8 cm al terzo stadio). Il ciclo vitale del parassita si conclude quando i pitoni si cibano di ospiti intermedi infetti.

A) Immagine di risonanza magnetica del cervello della donna che dimostra una lesione del lobo frontale destro; B) Forma larvale viva del terzo stadio di Ophidascaris robertsi (80 mm di lunghezza, 1 mm di diametro) rimossa dal lobo frontale della paziente. C) Forma larvale viva del terzo stadio di O. robertsi (80 mm di lunghezza, 1 mm di diametro) allo stereomicroscopio (ingrandimento × 10) / Credit:  Hossain et al, Emerging Infectious Diseases 2023
A) Immagine di risonanza magnetica del cervello della donna che dimostra una lesione del lobo frontale destro; B) Forma larvale viva del terzo stadio di Ophidascaris robertsi (80 mm di lunghezza, 1 mm di diametro) rimossa dal lobo frontale della paziente. C) Forma larvale viva del terzo stadio di O. robertsi (80 mm di lunghezza, 1 mm di diametro) allo stereomicroscopio (ingrandimento × 10) / Credit:  Hossain et al, Emerging Infectious Diseases 2023

Negli esseri umani, prima del caso della donna australiana, l’infezione umana da qualsiasi specie di Ophidascaris non era mai stata segnalata, così come non era mai stata registrata l’invasione del cervello da parte delle larve in alcun ospite animale. Secondo i medici, a determinare la migrazione nel sistema nervoso centrale potrebbe essere stata una condizione medica preesistente oppure i trattamenti immunosoppressori che la donna aveva assunto in seguito alla comparsa di una serie di sintomi, inizialmente caratterizzati da dolore addominale e diarrea persistente, e seguiti da tosse secca, febbre e sudorazione notturna, per i quali era stata ricoverata una prima volta nel gennaio 2021.

Il primo caso al mondo di infezione umana da Ophidascaris

La storia medica della donna, nata in Inghilterra e con un passato di viaggi in Africa, Asia ed Europa nei 20-30 anni precedenti, includeva diabete mellito, ipotiroidismo, depressione e una polmonite da cui non si era mai ripresa completamente e le aveva procurato alcune lesioni ai polmoni. Ulteriori accertamenti avevano inoltre rivelato lesioni al fegato e alla milza, e nessuna prova di cancro, infezioni o malattie autoimmuni.

Per circa un anno e mezzo dal primo ricovero, alla paziente sono stati somministrati vari trattamenti, senza che nessuno sembrasse alleviare completamente i suoi sintomi. Nel giugno 2022, per circa tre mesi, la donna aveva tuttavia manifestato un peggioramento della depressione, nonostante nessuna variazione nel trattamento antidepressivo. Questo sintomo ha spinto i medici a effettuare una risonanza magnetica cerebrale, che ha rivelato la presenza di una lesione nel lobo frontale destro, successivamente valutata attraverso una biopsia a cielo aperto, una piccola craniotomia durante la quale è stata notata “una struttura filiforme all’interno delle lesione” che è stata rimossa.

Si trattava di un elminto (un verme parassita, ndr) vivo e mobile di 8 centimetri di lunghezza e 1 millimetro di diametro” hanno spiegato medici e scienziati coinvolti nel caso, che hanno poi identificato il verme come larva di terzo stadio di Ophidascaris robertsi.

Dopo la rimozione del parassita dal cervello, la donna è curata con antielmintici e desametasone per eliminare potenziali larve insediate in altri organi e si sta riprendendo bene, anche se continuerà a essere monitorata dagli specialisti.

Come si trasmette l'infezione da Ophidascaris

Nel cercare di ricostruire la catena di trasmissione che, come premesso, avviene per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di uova di Ophidascaris, la donna ha escluso contatti diretti con i serpenti. Tuttavia, spesso raccoglieva erbe autoctone nei pressi di un lago, tra cui verdure warrigal (Tetragonia tetragonioides), che utilizzava in cucina. Questa circostanza ha quindi portato a ipotizzare che la donna avesse inavvertitamente ingerito le uova consumando verdure contaminate dalle feci di un pitone infetto, oppure attraverso la contaminazione di mani o attrezzature da cucina.

Questa infezione da Ophidascaris non si trasmette da persona a persona, quindi il caso di questa paziente non causerà una pandemia come quella di Covid o di Ebolaha sottolineato al Guardian il dottor Sanjaya Senanayake, medico specializzato in malattie infettive dell’ospedale di Canberra e autore corrispondente del case report – . Tuttavia, i serpenti e il parassita si trovano in altre parti del mondo, quindi è probabile che nei prossimi anni altri casi verranno segnalati in altri Paesi”.

Come primo caso al mondo, la sua storia riporta dunque l’attenzione sul rischio di zoonosi, le infezioni che si trasmettono dagli animali all’uomo, diventate più frequenti soprattutto perché umani e animali si trovano sempre più spesso a stretto contatto e gli habitat di sovrappongono maggiormente. Secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, tre quarti delle malattie infettive nuove o emergenti nell’uomo provengono da animali. “Ci sono stati circa 30 nuovi contagi nel mondo negli ultimi 30 anni – ha aggiunto Senanayake – . Delle infezioni emergenti a livello globale, circa il 75% sono zoonotiche, il che significa che c’è stata trasmissione dal mondo animale a quello umano. Ciò include i coronavirus”.

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