I sintomi del vaiolo delle scimmie, come si trasmette il virus arrivato anche in Italia
Anche in Italia, dopo le segnalazioni arrivate dalle autorità sanitarie di Regno Unito, Spagna, Portogallo e Stati Uniti, è stato identificato il primo caso di vaiolo delle scimmie (monkeypox) in un uomo recentemente rientrato dalle Isole Canarie. Con la notizia, comunicata dall’Istituto Spallanzani di Roma, dove il paziente è attualmente in isolamento in discrete condizioni generali, cresce la preoccupazione per la diffusione di un’infezione virale che, rispetto al Covid, è causata da un virus a DNA già conosciuto e di cui in passato sono stati registrati diversi focolai. La sua prima identificazione nell’uomo, ricorda il sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), risale agli Anni 70, in un bambino congolese di 9 anni, e i sintomi della malattia sono simili a quelli del vaiolo umano, anche se generalmente più lievi, pur trattandosi di un’infezione che può essere mortale. Il virus colpisce principalmente i roditori ma può essere trasmesso ai primati (quindi anche all’uomo) da animali infetti, generalmente attraverso un contatto diretto. La trasmissione da uomo a uomo è relativamente limitata ma può derivare da un contatto stretto con secrezioni respiratorie, lesioni cutanee di una persona infetta o oggetti contaminati, oppure può verificarsi per via aerea, attraverso i droplet respiratori.
I sintomi del vaiolo delle scimmie nell'uomo
Come detto, i sintomi del vaiolo delle scimmie sono simili a quelli del vaiolo umano, una malattia considerata eradicata ma che, tuttavia, ha pesantemente inciso nella storia umana prima dell’introduzione dei vaccini. I principali segni dell’infezione comprendono febbre, brividi, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena e affaticamento ma, a differenza del vaiolo umano, si manifesta anche con ingrossamento dei linfonodi (edema linfodale, o linfoadenopatia).
Come riportato dai Manuali MSD, questi sintomi possono insorgere circa 12 giorni dopo l’esposizione al virus e, a distanza di ulteriori 1-3 giorni dalla comparsa dello stato febbrile, si sviluppa un’eruzione cutanea che, frequentemente, si presenta inizialmente sul viso per poi diffondersi ad altre parti del corpo, inclusi il palmo delle mani e la pianta dei piedi. “Come nel vaiolo umano, l’eruzione cutanea del vaiolo delle scimmie insorge sotto forma di macchie piane di colore rosso. In seguito, le macchie si trasformano in vescicole purulente (formando pustole), che dopo diversi giorni evolvono in croste – spiegano gli esperti dei manuali Merck – . Il vaiolo delle scimmie può aumentare la probabilità di sviluppare altre infezioni, come infezioni batteriche della pelle e dei polmoni.
Come riconoscere i sintomi della malattia
Solitamente più lieve del vaiolo umano, la malattia ha un tempo di incubazione che solitamente va dai 7 ai 14 giorni, ma può variare da 5 a 12 giorni. Secondo quanto precisato dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti, l’agenzia federale di controllo sulla sanità pubblica, la malattia insorge con febbre, cefalea, dolori muscolari, linfonodi ingrossati, brividi e affaticamento. Come detto, entro 1 o 3 giorni dopo la comparsa della febbre (anche se a volte può trascorrere un periodo di tempo più lungo), i pazienti sviluppano un’eruzione cutanea, con le lesioni progrediscono attraverso le seguenti fasi prima di cadere: macule, papule, vescicole, pustole, croste. Il decorso del vaiolo delle scimmie è generalmente di 2-4 settimane.
Come si trasmette il vaiolo delle scimmie
Nonostante il nome, le scimmie non sono serbatoio del virus, ma la malattia è stata chiamata così perché osservata per la prima volta nel 1958 nelle scimmie di laboratorio. Il virus colpisce principalmente i roditori, soprattutto scoiattoli, ratti e topi, ma può compiere il salto di specie (zoonosi) ed essere trasmesso ai primati (e quindi anche agli esseri umani) dagli animali infetti, generalmente attraverso uno stretto contatto (sangue o morsi). Un possibile fattore di rischio può essere anche il consumo di carne o altri prodotti a base di animali infetti quando non adeguatamente cucinati.
La trasmissione secondaria, da uomo a uomo, si ritiene avvenga principalmente per via aerea, attraverso i droplet respiratori, oltre al contatto diretto con fluidi corporei o il materiale della lesione, e il contatto indiretto con il materiale della lesione (ad esempio attraverso le lenzuola). Il virus entra nell’organismo attraverso la pelle lesa (anche se non visibile la lesione), le vie respiratorie e le mucose (occhi, naso o bocca). La trasmissione attraverso le particelle respiratorie richiede un contatto faccia a faccia prolungato, il che mette a maggior rischio gli operatori sanitari e i membri della famiglia dei casi positivi. La catena di trasmissione più lunga documentata in una comunità è stata di sei infezioni successive da persona a persona. La trasmissione può avvenire anche attraverso la placenta dalla madre al feto (vaiolo delle scimmie congenito).
La cura e il vaccino contro il vaiolo delle scimmie
Ad oggi non esiste alcun trattamento comprovato e sicuro per trattare l’infezione da virus del vaiolo delle scimmie. Per la prevenzione è possibile utilizzare il vaccino contro il vaiolo umano che, dai dati provenienti dall’Africa (dove si ritiene che il virus venga trasmesso da piccoli roditori e scoiattoli che vivono nelle foreste pluviali, in particolare in Congo e in Sudan), pare abbia un’efficacia pari almeno all’85% nella prevenzione della malattia, proprio perché il patogeno (monkeypox virus) è strettamente correlato a quello del vaiolo umano (variola virus). Gli esperti ritengono che l’aumento dei casi di vaiolo delle scimmie nell’uomo possa essere dovuto alla cessazione delle campagne di vaccinazione dopo l’eradicazione del vaiolo umano, in quanto il vaccino contribuiva a proteggere le persone dal vaiolo delle scimmie.
Riguardo al trattamento dell’infezione, non esistono farmaci specifici ma si utilizzano medicinali volti principalmente ad alleviare i sintomi della malattia. Alcuni antivirali possono essere utili nel contrastare l’infezione, come il tecovirimat, cidofovir o brincidofovir, anche se ad oggi non esistono studi relativi all’uso specifico per il vaiolo delle scimmie.