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Covid 19

Vaccino anti coronavirus universale sempre più vicino: risultati promettenti da uno studio

Un team di ricerca internazionale ha ottenuto risultati incoraggianti da un vaccino anti coronavirus universale testato in laboratorio. Come funziona.
A cura di Andrea Centini
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Da oltre due anni e mezzo conviviamo con il coronavirus SARS-CoV-2 e, nonostante ci siano segnali dell'inizio della fase endemica, siamo ancora in piena pandemia di COVID-19. La ragione è legata al fatto che il patogeno continua a mutare dando vita a varianti sempre più contagiose ed elusive nei confronti degli anticorpi neutralizzanti, sia quelli indotti da una precedente infezione naturale che quelli legati alla vaccinazione anti Covid. Ciò catalizza il rischio di reinfezioni e delle cosiddette infezioni rivoluzionarie che “bucano” i vaccini, come stanno dimostrando le sottovarianti di Omicron. Ciò accade anche perché i vaccini – comunque fondamentali nel proteggerci dalla COVID grave – si basano sul virus di Wuhan, emerso in Cina alla fine del 2019. Proprio per questa ragione gli esperti chiedono a gran voce l'introduzione di un nuovo vaccino, efficace contro tutte le varianti, la cui approvazione e distribuzione dovrebbe avvenire entro questo autunno. Ma il vero sogno degli scienziati è mettere a punto un vaccino universale o pancoronavirus, efficace non solo contro tutte le varianti del SARS-CoV-2 già circolanti e future, ma anche contro gli altri coronavirus, compresi quelli che circolano solo nei pipistrelli e che in futuro potrebbero dar vita a una nuova pandemia. Ora, grazie a un nuovo studio, siamo sempre più vicini a un vaccino di questo tipo.

A condurlo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici di varie sezioni del The Francis Crick Institute di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del National Heart and Lung Institute dell'Imperial College di Londra e del Dipartimento di Immunochimica – Istituto di ricerca per le malattie microbiche dell'Università di Osaka (Giappone). Gli scienziati, coordinati dal professor Kevin W. Ng, esperto di Immunologia retrovirale presso l'istituto londinese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto studi su modelli murini (topi) trattati con un vaccino anti coronavirus sperimentale. Com'è noto gli attuali vaccini anti COVID si basano sulla proteina S o Spike del patogeno pandemico, il “grimaldello biologico” sfruttato dal SARS-CoV-2 per legarsi al recettore ACE-2, distruggere la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'intero e dar via al processo di replicazione che determina la malattia, chiamata COVID-19. La proteina S è suddivisa in due subunità proteiche distinte: S1, che accoglie il dominio di unione al recettore (DUR) e permette l'aggancio alla cellula umana; ed S2 che determina la fusione della membrana cellulare e permette il trasferimento dell'RNA del virus all'interno. Il team del professor Ng ha messo a punto un vaccino sperimentale che prende di mira solo la porzione S2 della proteina Spike, e non l'intera proteina come accade per i vaccini attuali.

Secondo gli autori dello studio, infatti, mantenere come bersaglio solo questa porzione della proteina – che è molto simile in tutti i coronavirus ed è meno soggetta alle mutazioni – avrebbe dato vita ad anticorpi più specifici e "focalizzati", in grado di proteggere da diversi tipi di coronavirus e ceppi, proprio alla luce del fatto che si tratta di una parte estremamente conservata in questa famiglia di patogeni. Attraverso gli esperimenti condotti sui topi gli scienziati hanno ottenuto il risultato sperato: “Quando abbiamo vaccinato i topi con questo vaccino S2, hanno generato anticorpi che legano e bloccano un'ampia gamma di coronavirus umani e animali, comprese le varianti del SARS-CoV-2 e i comuni coronavirus del raffreddore”, ha spiegato il professor Ng a IFLScience. “Ci siamo interessati alla regione S2 alcuni anni fa, quando abbiamo scoperto che gli anticorpi che prendono di mira il comune raffreddore coronavirus potrebbero anche legare SARS-CoV-2”, ha aggiunto Ng. “Ci siamo resi conto che questi anticorpi cross-reattivi si legavano specificamente alla regione S2, che è quasi identica in tutti i coronavirus che infettano gli esseri umani. Questo tipo di conservazione evolutiva implica che i coronavirus abbiano difficoltà a mutare questa regione, e quando in effetti osserviamo tutte le varianti SARS-CoV-2 che si sono evolute negli ultimi due anni, l'S2 rimane quasi lo stesso”, ha concluso l'esperto.

Al momento sono in fase di studio diversi vaccini pancoronavirus e questo basato sulla subunità S2, qualora dovesse superare tutto il percorso degli studi preclinici e clinici, potrebbe essere uno dei più promettenti. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 S2–targeted vaccination elicits broadly neutralizing antibodies” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Traslational Medicine.

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