Un farmaco per il diabete riduce il rischio di demenza: ecco cosa dice lo studio su 220.000 persone
Uno studio che ha esaminato i dati di oltre 220.000 persone con diabete di tipo 2, la forma di diabete più comune tra gli adulti, suggerisce che le persone che assumono una particolare classe di farmaci, gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT-2), cioè della proteina responsabile di quasi tutto il riassorbimento del glucosio da parte dei reni, hanno un rischio sostanzialmente più basso di sviluppare demenza. Bloccando l’azione dell’SGLT-2 nei reni, questi farmaci favoriscono l’eliminazione del glucosio con le urine, permettendo una riduzione della glicemia sia a digiuno che dopo i pasti.
Ciò che però ha sorpreso i ricercatori è che una diversa classe di farmaci per il trattamento del diabete di tipo 2, gli inibitori della dipeptidil-peptidati 4 (DPP-4), non riduce la probabilità di sviluppare demenza in egual misura, nonostante il diabete sia riconosciuto come un fattore di rischio per la demenza, per cui il trattamento di questa stessa condizione dovrebbe avere un effetto simile o almeno paragonabile sulla prevenzione del declino cognitivo. In altre parole, perché un farmaco per il diabete di tipo 2 dovrebbe ridurre il rischio di demenza più di un altro, se entrambi determinano un controllo della glicemia comparabile?
Un farmaco per il diabete riduce il rischio di demenza più di un altro
La scoperta chiave del nuovo studio, ovvero che le persone che assumono gli inibitori SGLT-2 per il trattamento del diabete di tipo 2 hanno un rischio significativamente inferiore di sviluppare demenza rispetto a coloro che assumono un’altra classe di farmaci contro il diabete di tipo 2, gli inibitori della DPP-4, sottolinea la necessità di ulteriori studi che confermino i risultati e facciano luce sui meccanismi alla base di questo possibile effetto protettivo degli inibitori dell’SGLT-2.
Ciò che però è emerso dalla nuova indagine, i cui dettagli sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica BMJ, è che – confrontando gli esiti sulla salute di un gruppo di oltre 110.000 persone di età compresa tra 40 e 69 anni con diabete di tipo 2 che assumevano gli inibitori dell’SGLT-2 con quelli di un altro gruppo di 110.000 pazienti che invece assumevano gli inibitori della DPP-4 – la probabilità di sviluppare demenza del primo gruppo è del 35% più bassa rispetto a quella del secondo gruppo di persone dopo un follow-up medio di 670 giorni.
“Questa associazione è stata osservata in modo simile per la malattia di Alzheimer e la demenza vascolare, che sono le due forme più comuni di demenza – hanno spiegato i ricercatori – Anche studi precedenti hanno suggerito un rischio ridotto di demenza associato all’uso di inibitori dell’SGLT-2 rispetto agli inibitori della DPP-4 tra le persone con diabete di tipo 2 di età superiore 66 anni, ma la nostra ricerca ha rilevato quest’associazione in una popolazione più ampia, che ha incluso pazienti di età compresa tra 40 e 69 anni, è che si è dimostrata tale indipendentemente dal tipo di demenza, dall’uso concomitante di metformina e rischio cardiovascolare basale”.
Secondo gli esperti, il motivo per cui gli inibitori dell’SGLT-2 determinano una riduzione del 35% del rischio di demenza rispetto agli inibitori della DPP-4 non dipenderebbe necessariamente da un migliore controllo degli zuccheri nel sangue che, come noto, aiuta a proteggere i vasi sanguigni e riduce l’infiammazione nel cervello: questo perché entrambi i farmaci determinano un controllo della glicemia comparabile.
“Negli studi preclinici, gli inibitori di SGLT-2 hanno tuttavia mostrato effetti neuroprotettivi diretti attraverso molteplici vie […] che potrebbero ritardare la progressione della demenza nelle persone con diabete di tipo 2 sia per la malattia di Alzheimer che per la demenza vascolare – hanno osservato gli autori della ricerca – . Questi risultati suggerirebbero meccanismi sottostanti indipendenti dall’inibizione dell’SGLT-2, forse con il coinvolgimento di vie neuroprotettive”.