Un dispositivo riporta in vita i cuori che hanno smesso di battere per usarli nei trapianti
Un innovativo dispositivo per riportare in vita i cuori che hanno smesso di battere sta aprendo nuove prospettive per i pazienti cardiopatici in attesa di un nuovo organo. Chiamato Organ Care System Heart, è un sistema di perfusione extracorporea che prevede l’aggancio dell’organo a una macchina che pompa sangue e sostanze nutritive attraverso i suoi tessuti dopo la morte circolatoria del donatore. In nuovo studio in cui è stato testato, il sistema ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza dei trapianti condotti con questa tecnica che, se ampliamente applicata, potrebbe aumentare il pool di donatori di cuore del 30%.
Questo perché la maggior parte dei cuori che attualmente vengono trapiantati proviene da donatori cerebralmente morti, che sono quindi deceduti a causa di una completa perdita di attività celebrale e non per morte circolatoria, nella quale il cuore si ferma. In altre parole, un paziente cerebralmente deceduto può essere dichiarato morto prima che il suo cuore smetta di battere, consentendo ai medici di recuperare il cuore quando è ancora perfuso e quindi non ancora danneggiato dalla mancanza di ossigeno. Al contrario, nella donazione dopo la morte circolatoria (DCD), il cuore torna a battere grazie all’impiego del nuovo dispositivo, che permette all’organo di essere rianimato e quindi di essere valutato ai fini del trapianto.
I risultati dello sperimentazione, appena pubblicati sul New England Journal of Medicine, mostrano che i tassi di sopravvivenza a sei mesi dal trapianto con un cuore rianimato dopo la morte circolatoria del donatore non sono inferiori a quelli dopo i trapianti standard con cuori che erano stati conservati con l’uso di celle frigorifere dopo la morte cerebrale del donatore.
In particolare, a sei mesi dall’intervento, i pazienti sottoposti a trapianto di cuore – 86 donati dopo la morte cerebrale e 80 dopo la morte circolatoria – avevano tassi di sopravvivenza rispettivamente del 90% e 94%, il che suggerisce che la donazione dopo la morte circolatoria è un approccio altrettanto praticabile per i trapianti di cuore. Complessivamente, il tasso di eventi avversi gravi è stato molto basso e simile in entrambi i gruppi, come valutato a 30 giorni dall’intervento.
“Onestamente, se potessimo schioccare le dita e utilizzarla più ampiamente, penso che la donazione dopo la morte circolatoria possa aumentare in modo significativo il numero di donatori di cuore – ha affermato il dottor Jacob Schroder , un chirurgo dei trapianti presso la Duke University School of Medicine che ha guidato lo studio – . Dovrebbe davvero essere uno standard di cura”.