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Un altro virus delle scimmie simile all’Ebola potrebbe fare il salto di specie e infettare gli umani

L’avvertimento arriva da un team di ricerca americano che chiede una maggiore sorveglianza da parte della comunità sanitaria globale nei confronti del virus della febbre emorragica delle scimmie (SHFV), un patogeno che in alcuni primati non umani causa una malattia simile all’Ebola.
A cura di Valeria Aiello
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Un’inquietante famiglia di virus, chiamata Arterivirus e nota per causare una malattia simile all’Ebola in alcune scimmie, sarebbe “pronta allo spillover”, ovvero a compiere il salto di specie ed infettare gli esseri umani. L’avvertimento arriva da un team di ricerca dell’Università del Colorado a Boulden, negli Stati Uniti, che considera tali arterivirus, già endemici nei primati africani selvatici, una minaccia critica non solo per i macachi, ma anche per gli umani, sebbene ad oggi non siano state segnalate infezioni nell’uomo e resti comunque incerto quale possa essere l’impatto di questi virus nelle persone, nell’ipotesi in cui si verificasse il salto di specie. Tuttavia, i ricercatori chiedono una maggiore sorveglianza da parte della comunità sanitaria globale, evocando quanto già accaduto con l’HIV, il quale ha avuto origine nelle scimmie africane. “La comunità sanitaria globale potrebbe potenzialmente evitare un’altra pandemia” ha affermato il team.

Come precisato in uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Cell, l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata su uno dei membri della famiglia degli artivirus, il virus della febbre emorragica delle scimmie (SHFV) che nei macachi causa una grave infezione con elevata mortalità. “Questo virus animale ha capito come accedere alle cellule umane, moltiplicarsi e sfuggire ad alcuni degli importanti meccanismi immunitari che ci aspetteremmo siano in grado di proteggerci da un virus animale – ha spiegato Sara Sawyer, autrice senior dello studio e professoressa di Biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo presso l’Università del Colorado – . È piuttosto raro, ma dovremmo prestare attenzione”.

Da circa 15 anni, Sawyer e i suoi colleghi analizzano campioni di tessuto provenienti da animali selvatici di tutto il mondo per comprendere quali siano i virus maggiormente inclini al salto di specie negli umani. In quest’ultimo studio, lei e il primo autore Cody Warren, ex borsista post-dottorato presso il BioFrontiers Institute dell’Università del Colorado, hanno dimostrato che un recettore cellulare, chiamato CD163, svolge un ruolo chiave nella biologia degli arterivirus, consentendo al patogeno di penetrare all’interno delle cellule e moltiplicarsi. Attraverso una serie di esperimenti di laboratorio, i ricercatori hanno inoltre scoperto che il virus della febbre emorragica delle scimmie è anche notevolmente abile nel riconoscere la versione umana del CD163, entrare nelle cellule umane e fare rapidamente più copie di se stesso.

Analogamente al virus dell'immunodeficienza umana (HIV) e il suo precursore, il virus dell'immunodeficienza delle scimmie (SIV), anche gli arterivirus delle scimmie sembrano attaccare le cellule immunitarie, disabilitando i principali meccanismi di difesa dell’organismo. “Le somiglianze tra questo arterivirus e i virus delle scimmie che hanno dato origine all’epidemia di HIV sono profonde” ha aggiunto Warren, ora assistente professore al College of Veterinary Medicine presso la Ohio State University, che ha comunque rassicurato sul rischio di una nuova pandemia (“Non è imminente, e le persone non devono allarmarsi”).

Gli studiosi chiedono però che la comunità sanitaria globale dia priorità a ulteriori studi sugli arterivirus delle scimmie, allo sviluppo di test per gli anticorpi e prenda seriamente in considerazione il monitoraggio delle popolazioni umane che vivono a stretto contatto con animali che sono ospiti naturali di questa famiglia di virus.

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