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Ubriaca senza bere un goccio di alcol, scopre di avere la sindrome dell’autoproduzione di birra

È il caso di una donna canadese di 50 anni che si è recata per sette volte al Pronto soccorso, lamentando i sintomi di una sbornia senza aver consumato alcolici: solo alla settima visita, il medico d’urgenza ha preso in considerazione la possibilità che si trattasse della sindrome dell’autoproduzione di birra, una condizione rara che si verifica quando nell’intestino risiede una popolazione troppo abbondante di microrganismi che trasformano i carboidrati in alcol.
A cura di Valeria Aiello
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È un caso clinico insolito e molto particolare quello di una donna canadese di 50 anni che per sette volte si è recata al Pronto soccorso perché si sentiva ubriaca, anche se nelle ore precedenti non aveva consumato neppure un goccio di alcol. In tutte le occasioni, i suoi sintomi, tipici dell’abuso di alcolici, come sonnolenza, difficoltà di parola, avevano trovato conferma nel forte odore di alcol del suo alito e nelle analisi, che mostravano tassi alcolemici particolarmente elevati. Tuttavia, solo alla settima visita, il medico d’urgenza ha preso in considerazione la possibilità che la sua non fosse una normale intossicazione da alcol ma una rara condizione, chiamata sindrome dell’autoproduzione di birra.

Recentemente, anche un’altra persona ha scoperto di avere la stessa condizione, in Belgio, ma ad oggi sono stati riportati pochissimi altri casi nella letteratura scientifica. Secondo gli esperti, chi soffre di sindrome dell’autoproduzione di birra sviluppa la malattia nel tempo, anche se non è ancora stata chiarita quale sia l’esatta causa scatenante: nel caso della donna, documentato in un report recentemente pubblicato sul Canadian Medical Association Journal, i medici ritengono che alla base della sindrome ci sia uno squilibrio a livello della flora intestinale, che si verifica quando nell’intestino risiede una popolazione troppo abbondante di microrganismi che trasformano i carboidrati in alcol.

Nella nostra paziente – spiegano gli autori del report – sospettiamo che l’assunzione ricorrente di antibiotici per le infezioni delle vie urinarie (che la donna aveva preso nel corso dei 5 anni precedenti per curare delle cistiti ricorrenti, ndr) e di dexlansoprazolo (usato per trattare il reflusso gastroesofageo, ndr) abbia portato a disbiosi intestinale con un potenziale contributo genetico, con conseguente sindrome dell'autoproduzione di birra”.

Cos’è la sindrome da autoproduzione di birra (malattia dell’ubriachezza)

La sindrome da autoproduzione di birra, conosciuta anche con il nome di malattia dell’ubriachezza, è una condizione rara: chi ne soffre, produce grandi quantità di etanolo nel proprio intestino attraverso la fermentazione dei carboidrati. Questa fermentazione avviene ad opera di alcuni microrganismi, tra cui i funghi delle specie Saccharomyces cerevisiae, Candida albicans, Candida tropicalis e Candida glabrata. Di recente, è stato valutato anche il ruolo di alcuni batteri e, sebbene il loro coinvolgimento nella sindrome non sia stato completamente chiarito, è stato proposto che Klebsiella pneumoniae possa essere implicato nell’insorgenza della patologia.

Nelle persone con sindrome dell’autoproduzione di birra si verificherebbe un aumento nelle popolazioni di questi microrganismi, che può essere responsabile degli episodi di malattia. Questi episodi sono inoltre legati alla presenza di altri fattori, come ad esempio una dieta ricca di ricca di carboidrati, o condizioni come diabete, malattie del fegato, disturbi della motilità intestinale e malattie infiammatorie intestinali. Anche una predisposizione genetica, associata alla carenza o alla disfunzione dell’enzima aldeide deidrogenasi e al conseguente metabolismo inefficiente dell’alcol possono svolgere un ruolo nell’insorgenza della malattia. Ad ogni modo, gli episodi di ubriachezza possono essere risolti seguendo una dieta a basso contenuto di carboidrati, come osservato nella paziente canadese.

Nel caso della donna, i medici hanno suggerito un ciclo di fluconazolo (un farmaco antifungino) di un mese e, appunto, una dieta a basso contenuto di carboidrati, che hanno portato alla scomparsa dei sintomi. Tuttavia, un mese dopo aver aumentato l’assunzione di carboidrati, la paziente ha avuto un nuovo episodio di ubriachezza, con difficoltà di parola e segni di profonda sonnolenza, in seguito ai quali ha avuto anche una caduta. “La donna è stata quindi rivalutata, è stata ripresa la terapia con fluconazolo, le è stato consigliato di tornare alla dieta a basso contenuto di carboidrati – hanno precisato gli autori del report – . Dopo 2 settimane di fluconazolo e una dieta a basso contenuto di carboidrati, i suoi sintomi si sono risolti”.

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