Tuvalu rischia di finire sott’acqua entro il 2100: storico accordo “Unione Falepili” con l’Australia
L'Australia ha sottoscritto uno storico accordo con lo stato insulare polinesiano di Tuvalu, che ogni anno garantirà a 280 abitanti del piccolo arcipelago di trasferirsi nella “terra dei canguri” e ottenere la cittadinanza per studiare e lavorare. In altri termini, permetterà a queste persone – selezionate dal governo locale – di andare a vivere in Australia. La partnership, chiamata Unione Falepili, dal nome di una parola tuvaluana che può essere tradotta in italiano come “buon vicinato”, è stata siglata per una specifica ragione: le conseguenze del cambiamento climatico.
Tuvalu, analogamente a molti altri atolli, isole e arcipelaghi incastonati negli oceani Pacifico e Indiano (i più colpiti), rischia di finire letteralmente sommersa a causa dell'innalzamento del livello del mare, provocato dallo scioglimento dei ghiacci a sua volta catalizzato dalle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas climalteranti derivati dalle attività antropiche. La piccola nazione insulare, che si estende per meno di 30 chilometri quadrati ed è popolata da appena 11.000 abitanti (è il secondo stato meno popoloso al mondo dopo il Vaticano), è tra quelli più minacciati in assoluto e rischia di sparire entro il 2100. A novembre del 2021 fecero il giro del mondo le immagini del ministro tuvaluano Simon Kofe che tenne un discorso con le gambe immerse nell'acqua, proprio per sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale sulla gravissima minaccia che incombe sul suo Paese. Storico anche l'annuncio di voler diventare la prima nazione digitale al mondo, migrando nel Metaverso.
La crisi climatica non rischia infatti "solo" di cancellare dalle cartine geografiche il piccolo Paese insulare, ma ne mette a repentaglio anche l'identità e la cultura nazionali, il passato e il futuro di un'intera, orgogliosa popolazione, che sopravvive soprattutto grazie al turismo, dato che non ha particolari risorse naturali (se non quelle legate alla pesca e all'agricoltura che permettono il sostentamento locale). È proprio a causa di questo rischio concreto che è stato siglato il trattato Australia-Tuvalu Falepili Union, sottoscritto dal primo ministro australiano Anthony Albanese e dal governo tuvaluano guidato dal premier Kausea Natano. L'accordo è stato annunciato venerdì 9 novembre nel corso di un Forum alle Isole Cook.
Come indicato, il fulcro di questa partnership è la possibilità offerta ai cittadini tuvaluani di trasferirsi in Australia e farsi lì una nuova vita, ma non si limita solo a questo. L'obiettivo principale è infatti salvaguardare il futuro della popolazione e ciò prevede anche azioni mirate sulle isole dell'arcipelago, per migliorarne la resilienza e la protezione dagli effetti dei cambiamenti climatici. Tra gli interventi previsti un aumento dell'estensione del 6 percento del territorio dell'atollo principale che ospita la capitale Funafuti, per permettere alla gente del posto di restare nella propria terra ma di trasferirsi in luoghi più sicuri, innanzi all'incombente innalzamento del livello del mare. Iniziative simili per ampliare e sollevare i territori più sicuri verranno prese anche alle Maldive, anch'esse minacciate dalla crisi climatica.
Il trattato Unione Falepili prevede anche ampi accordi in termini di sicurezza, da quella informatica a quella militare, passando per la gestione dei rischi legati a nuove pandemie e ai disastri naturali. Ci sarà intensa collaborazione anche sulle infrastrutture critiche, quelle legate alle telecomunicazioni, ai trasporti e all'energia. Il governo australiano fornirà questa protezione generosa, ampia e trasversale, ma in cambio Tuvalu dovrà sottoporre a Canberra qualunque accordo legato a difesa e sicurezza con Paesi terzi. Recentemente la Cina ha siglato una partnership analoga con le Isole Salomone e la preoccupazione dell'Australia – e dei suoi alleati – risiede proprio nell'espansione dell'influenza cinese nei numerosi atolli dislocati nel Pacifico. La mossa del governo australiano, dunque, non è probabilmente legata solo al cambiamento climatico, ma anche alle fibrillazioni geopolitiche degli ultimi anni. Non si può escludere che accordi analoghi al Falepili, in futuro, possano infatti essere sottoscritti anche da altri Paesi insulari minacciati dall'innalzamento del livello del mare.