Tumore al pancreas, scoperto un meccanismo che ne promuove la crescita
Il tumore al pancreas, nelle forme maligne, è un tipo di cancro molto aggressivo e altamente letale. Nella variante chiamata adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), la forma più frequente di tumore al pancreas, la probabilità di sopravvivenza a cinque anni è ancora oggi inferiore al 10%. Le ragioni dell’elevata mortalità sono diverse, spesso correlate alla scoperta tardiva della malattia: la quasi assenza di sintomi nelle prime fasi o la presenza di sintomi non sufficientemente specifici da suscitare sospetti, unitamente alla capacità di questo tumore di creare metastasi quando è di dimensioni ancora molto ridotte, sono tra le caratteristiche che rendono questo tumore particolarmente difficile da trattare.
Riuscire pertanto a comprendere i processi biologici attraverso i quali si sviluppa può fornire un’arma per contrastarne l’insorgenza e migliorare la risposta alle terapie. In quest’ambito di ricerca, un team scientifico italiano, guidato dal professore Renato Ostuni, responsabile del laboratorio Genomica del sistema immunitario innato dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) e professore associato dell’Università Vita-Salute San Raffaele, è arrivato a un’importante scoperta.
Un meccanismo chiave nella crescita del tumore al pancreas
Come dettagliato in un articolo appena pubblicato su Nature, i ricercatori ha scoperto un meccanismo chiave nella crescita del tumore al pancreas, legato a un sottogruppo di cellule del sistema immunitario innato, chiamate macrofagi che esprimono interleuchina-1 β+ (IL-1β+). Queste cellule, essenziali per proteggere l’integrità dei tessuti e per attivare risposte protettive contro agenti patogeni e altre minacce esterne, in presenza di un tumore vengono profondamente riprogrammate, al punto da sostenere (anziché contrastare) la progressione della malattia. Quando ciò accade, queste cellule prendono il nome di macrofagi associati al tumore (TAM).
Nel caso del tumore al pancreas, la nuova ricerca ha mostrato che i macrofagi associati al tumore che esprimono IL-1β+ “sono in grado di stimolare l’aggressività delle cellule tumorali più vicine, inducendo una riprogrammazione infiammatoria e favorendo il rilascio di fattori che, a loro volta, promuovono lo sviluppo e l’attivazione dei macrofagi stessi” hanno spiegato ricercatori in una nota.
“È una sorta di circolo vizioso che si autoalimenta – evidenzia Ostuni – . I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive e queste cellule riprogrammano i macrofagi per facilitare l’infiammazione e lo sviluppo della malattia”.
La ricerca ha anche dimostrato che questi macrofagi non sono distribuiti casualmente, ma sono localizzati nelle nicchie più piccole accanto alle cellule tumorali infiammate. “In realtà – aggiungono gli studiosi – è proprio questa vicinanza fisica che potrebbe favorire la progressione della patologia”.
Bloccare questo circuito infiammatorio potrebbe aumentare l’efficacia delle terapie oggi disponibili contro il PDAC, fornendo allo stesso tempo una strategia per contrastare l’insorgenza della malattia nelle persone a rischio.
Affinché ciò accada, precisano i ricercatori, saranno necessari ulteriori studi, volti a comprendere le potenzialità e le modalità più adeguate per agire su questo nuovo target terapeutico. “I prossimi anni saranno fondamentali – hanno concluso Federica Laterza e Giulia Barbiera , biologhe computazionali e principali autrici dello studio – . Abbiamo fatto un grande passo avanti nella comprensione dei processi biologici alla base di questa patologia”.