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Svelato il segreto del canto delle balene dopo 50 anni: finalmente sappiamo come fanno

A circa mezzo secolo dalle prime registrazioni del canto delle balene, i ricercatori sono finalmente riusciti a capire in che modo i cetacei misticeti riescono a emettere questi suoni sott’acqua. Ecco cosa hanno scoperto e perché non è solo una bella notizia.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Karim Iliya
Credit: Karim Iliya

A oltre mezzo secolo dalle prime registrazioni del canto delle balene, tra le principali fonti d'ispirazione di molti movimenti ambientalisti, gli scienziati sono finalmente riusciti a capire in che modo questi meravigliosi animali emettono le proprie vocalizzazioni. Sono state infatti individuate le caratteristiche anatomiche coinvolte nella produzione dei malinconici richiami, che riecheggiano come "canzoni" nel profondo blu. In parole semplici, è stato scoperto che la laringe delle balene permette la produzione di suoni grazie allo presenza di particolari strutture, che si sono evolute ed esclusivamente in questo gruppo di animali. Fino ad oggi non era chiaro come avveniva la fonazione.

Per comprendere meglio i risultati di questo studio è innanzitutto doveroso fare una premessa, perché il “mistero” sulla produzione dei richiami non riguardava tutti i cetacei, ma solo le balene. Per balene si intendono i misticeti, cioè quelli dotati di fanoni, strutture cheratiniche simili a enormi “pettini” ai lati della bocca che permettono a megattere, balenottere azzurre, balene franche e altre specie di filtrare l'acqua ricca di prede; krill, pesci e altre piccoli animali. Per quanto concerne i cetacei con i denti (odontoceti), come il capodoglio, l'orca e il delfino comune, è invece noto da tempo il modo in cui riescono a produrre click, fischi e altri suoni, dato che sfruttano uno specifico organo nasale.

Credit: Olga Filatova, University of Southern Denmark
Credit: Olga Filatova, University of Southern Denmark

Per il canto delle balene gli studiosi hanno sempre pensato al coinvolgimento della laringe, l'organo tra faringe e trachea nel quale si trovano le corde vocali e la cui vibrazione – modulata dal passaggio dell'aria – permette alla nostra specie di parlare e ai lupi di ululare. Ma c'è un dettaglio da non sottovalutare. I cetacei sono animali marini evoluti da creature terrestri simili a cani, pertanto come riescono a utilizzare la laringe per produrre il suono senza annegare? A spiegarlo è un nuovo studio condotto da un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Sound Communication and Behaviour Group – Dipartimento di Biologia dell'Università della Danimarca Meridionale e del Dipartimento di Biologia Comportamentale e Cognitiva dell'Università di Vienna (Austria), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Ingegneria Meccanica del Rochester Institute of Technology (Stati Uniti) e di altri istituti.

I ricercatori, coordinati dal professor Coen Elemans, hanno potuto mettere le mani sulle carcasse “fresche” di tre sfortunati misticeti appena spiaggiati, una megattera, una balenottera boreale e una balenottera minore, dalle quali hanno rapidamente estratto la laringe. Dalle analisi di laboratorio è emerso che le aritenoidi, piccole strutture cartilaginee presenti nella laringe umana associate alle corde vocali, nelle balene si sono trasformate in due grandi e peculiari strutture cilindriche, che agendo assieme a uno strato di grasso danno vita alla fonazione.

“Le aritenoidi si sono trasformate in grandi e lunghi cilindri fusi alla base per formare una grande struttura rigida a forma di U che si estende quasi per l'intera lunghezza della laringe”, ha dichiarato il professor Elemans in un comunicato stampa. “Questo è probabilmente per mantenere le vie aeree rigide e aperte quando devono spostare enormi quantità di aria dentro e fuori durante la respirazione superficiale esplosiva”, gli ha fatto eco il coautore dello studio Tecumseh Fitch. “Abbiamo scoperto che questa struttura a forma di U spinge contro un grande cuscino di grasso all’interno della laringe. Quando le balene spingono l’aria dai polmoni oltre questo cuscino, questa inizia a vibrare e si generano suoni subacquei a frequenza molto bassa”, ha chiosato Elemans.

Credit: Patricia Jaqueline Matic
Credit: Patricia Jaqueline Matic

Attraverso esperimenti con la laringe delle balene spiaggiate e modelli 3D realizzati al computer i ricercatori non solo hanno dimostrato come il passaggio dell'aria produce questi suoni, ma ne ha anche evidenziato i limiti fisiologici. In pratica, non possono cantare a frequenze superiori a quelle permesse dalle loro strutture anatomiche, pertanto per questi mammiferi marini è impossibile, pur volendo, aggirare il "frastuono causato" da traffico navale, perforazioni, estrazioni minerarie, operazioni militari e altre attività umane in mare, che coprono perfettamente il loro spettro di frequenza. “Purtroppo, la gamma di frequenza e la profondità massima di comunicazione di 100 metri da noi previste si sovrappone completamente alla gamma di frequenza dominante e alla profondità del rumore prodotto dall'uomo causato dal traffico marittimo”, ha affermato Elemans.

Poiché la comunicazione è fondamentale per le balene per la ricerca dei partner, prendersi cura dei piccoli e altre interazioni sociali, il danno che causiamo loro attraverso l'inquinamento acustico è estremo. I ricercatori sottolineano l'importanza di regolare con maggior severità il rumore marino proprio per tutelare questi giganti gentili, diverse specie dei quali sono stati portati sull'orlo dell'estinzione a causa della baleneria (ad esempio, restano meno di 400 esemplari di balena franca nordatlantica). I dettagli della ricerca “Evolutionary novelties underlie sound production in baleen whales” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature.

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