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Svelate le dimensioni dell’asteroide più grande che ha colpito la Terra: era gigantesco

Grazie a un modello fisico e alle caratteristiche del cratere di Vredefort è stato calcolato il diametro del “sasso spaziale” più grande che ha colpito la Terra.
A cura di Andrea Centini
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66 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, un gigantesco asteroide di 10 chilometri di diametro chiamato Chicxulub precipitò sull'attuale penisola dello Yucatan, in Messico, determinando l'estinzione dei dinosauri non aviani e di molti altri gruppi animali e vegetali. Ben il 75 percento delle specie viventi sulla Terra fu spazzato via alla fine del Mesozoico. Chicxulub è stato uno degli asteroidi più grandi ad aver colpito il nostro pianeta, ma non il più grande in assoluto. Sino ad oggi, infatti, si riteneva che questo record appartenesse al “sasso spaziale” che 2 miliardi di anni fa generò l'enorme cratere di Vredefort in Sudafrica, che ha un diametro stimato di 250 – 280 chilometri. Gli scienziati calcolarono che il cratere fu provocato da un asteroide con un diametro di circa 15 chilometri, che si schiantò sulla superficie terrestre alla velocità di 15 chilometri al secondo. Secondo un nuovo studio, tuttavia, il corpo celeste aveva dimensioni ben superiori, fino a 25 chilometri. Per rendersi conto, è la distanza che separa il centro di Roma dal litorale sulla costa tirrenica.

Il cratere di Vredefort
Il cratere di Vredefort

A determinare le nuove misure dell'asteroide di Vredefort è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati statunitensi del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Rochester (Stato di New York), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze della Terra e dell'Ambiente e del Museo di Storia Naturale – Istituto Leibniz per la Scienza dell'Evoluzione e della Biodiversità di Berlino (Germania). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Natalie H. Allen, sono giunti alle loro conclusioni grazie a un modello matematico chiamato “Simplified Arbitrary Lagrangian Eulerian (iSALE)”, usato per determinare la fisica dell'impatto. Dai calcoli è emerso che un asteroide di 15 chilometri alla velocità di 15 chilometri al secondo genererebbe un cratere di 172 chilometri, molto più piccolo di quello che si trova in Sudafrica, nella provincia di North West. In base alle nuove simulazioni, la professoressa Allen e i colleghi hanno determinato che l'enorme roccia spaziale aveva un diametro di 25 chilometri e viaggiava a 15 chilometri al secondo, oppure aveva un diametro di 20 chilometri e viaggiava a 25 chilometri al secondo.

Gli scienziati si sono basati anche sul confronto delle conseguenze che ha avuto Chicxulub innanzi al Messico. Le configurazioni di velocità / dimensioni rilevate dall'analisi, infatti, “possono riprodurre caratteristiche shock-metamorfiche presenti nella struttura d'urto odierna, comprese le distribuzioni di breccia, coni frantumati, caratteristiche di deformazione planare nel quarzo e nello zircone e fusione”, spiegano gli scienziati nell'abstract dello studio. Parte del materiale espulso dopo l'impatto, avvenuto nel paleoproterozoico, è stato ritrovato a Carelia, in Russia, che all'epoca si trovava tra i 2.000 e i 2.500 chilometri di distanza dal luogo dello schianto.

L'enorme quantitativo di polveri e detriti sollevati dopo l'impatto oscurò il Sole per un lunghissimo periodo – forse decenni – determinando un significativo raffreddamento della Terra. Fortunatamente all'epoca il nostro pianeta era popolato soltanto da organismi unicellulari che sopravvissero nel cuore degli oceani e, nel corso del tempo, si evolsero in creature sempre più complesse. Conoscere le conseguenze di questi impatti colossali può aiutarci a capire cosa accadrebbe oggi se la Terra venisse colpita. Per scongiurare disastri come questo la NASA ha appena concluso la prima missione di difesa planetaria della storia, facendo schiantare una sonda – chiamata DARTcontro un piccolo e innocuo asteroide, per capire se sia possibile deviare la traiettoria di un oggetto pericoloso. I dettagli della ricerca "A Revision of the Formation Conditions of the Vredefort Crater" sono stati pubblicati sulla rivista scientifica JGR Planets.

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