Svelata la probabile origine della nebbia mentale nei pazienti Covid
Per molti pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 i problemi di salute non si esauriscono con la negativizzazione al tampone, ma possono proseguire per diversi mesi – se non addirittura anni – a causa di una condizione definita dagli esperti “Long Covid” o postumi della COVID-19 a lungo termine. Tra le manifestazioni cliniche di questa condizione – circa duecento – figura anche la cosiddetta nebbia cerebrale o nebbia mentale, caratterizzata da sintomi cognitivi come deficit nella memoria, nel linguaggio e nella concentrazione. L'origine di questa misteriosa sintomatologia sembra essere stata svelata da un nuovo studio; non sarebbe infatti l'azione diretta dell'infezione virale a scatenarla, ma una risposta immunitaria anomala che spinge gli anticorpi a colpire le cellule dei vasi sanguigni presenti nel tessuto cerebrale, determinando infiammazione e danno ai tessuti. Tale effetto sarebbe responsabile anche della perdita dell'olfatto (anosmia), dell'alterazione del gusto (disgeusia), del mal di testa, della difficoltà a prendere sonno e di altri sintomi neurologici a breve termine.
A determinare la probabile origine della nebbia cerebrale è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati dei National Institutes of Health (NIH), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Medicina Forense della Facoltà di Medicina dell'Università di New York, del College di Medicina “Roy J. and Lucille A. Carver” dell'Università dell'Iowa, della Defense Health Agency e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Avindra Nath, medico e ricercatore presso il National Institute of Neurological Disorders and Stroke dei NIH, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto esami autoptici sul cervello di nove pazienti morti improvvisamente a causa della COVID-19. Avevano tra i 24 e i 73 anni. Come indicato, i ricercatori non hanno rilevato tracce del SARS-CoV-2 nel cervello, ma infiammazione e danni ai vasi sanguigni cerebrali causati dagli anticorpi, i "soldati" generato dal sistema immunitario per proteggerci dall'invasione virale. Come indicato in un comunicato stampa dei NIH, gli anticorpi possono colpire erroneamente le cellule endoteliali della barriera ematoencefalica, il filtro che protegge il cervello impedendo il passaggio di sostanze e agenti nocivi. “Il danno alle cellule endoteliali nei vasi sanguigni del cervello può portare alla fuoriuscita di proteine dal sangue. Ciò provoca sanguinamenti e coaguli in alcuni pazienti COVID-19 e può aumentare il rischio di ictus”, spiegano gli autori dello studio. I ricercatori hanno rilevato anche depositi di complessi immunitari, ovvero “molecole formate quando gli anticorpi legano antigeni”. Ciò può aumentare il rischio di infiammazione.
“I pazienti con COVID-19 spesso sviluppano complicazioni neurologiche, ma il processo fisiopatologico sottostante non è ben compreso”, ha dichiarato il professor Nath. “In precedenza avevamo mostrato danni ai vasi sanguigni e infiammazioni nel cervello dei pazienti durante l'autopsia, ma non capivamo la causa del danno. Penso che in questo articolo abbiamo acquisito importanti informazioni sulla cascata di eventi”, ha aggiunto lo scienziato. Gli autori dello studio hanno anche individuato 300 geni con ridotta espressione nell'area dei danni alle cellule endoteliali, mentre l'espressione di sei geni risultava aumentata. “Questi geni erano associati a stress ossidativo, danno al DNA e disregolazione metabolica. Ciò può fornire indizi sulle basi molecolari dei sintomi neurologici relativi a COVID-19 e offrire potenziali bersagli terapeutici”, spiegano gli scienziati, secondo cui i nove pazienti morti per Covid, se fossero sopravvissuti, molto probabilmente avrebbero sviluppato Long Covid. “È del tutto possibile che questa stessa risposta immunitaria persista nei pazienti con Long Covid con conseguente danno neuronale. Potrebbe esserci una piccola risposta immunitaria che sta continuando, il che significa che le terapie immunomodulanti potrebbero aiutare questi pazienti. Quindi questi risultati hanno implicazioni terapeutiche molto importanti”, ha concluso il professor Nath. I dettagli della ricerca “Neurovascular injury with complement activation and inflammation in COVID-19” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Brain.