Specie aliene fuori controllo, più di 3.500 minacciano la biodiversità
Le specie aliene invasive, come il granchio blu nel Mediterraneo, si stanno diffondendo a ritmi senza precedenti, rappresentando una grave minaccia per la biodiversità e spesso anche per l’uomo. Lo rileva l’ultimo rapporto del Comitato scientifico consultivo intergovernativo della Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità (IPBES) che ha fornito le prove dell’impatto negativo delle specie che si insediano e si diffondono al di fuori della loro area di origine.
Dal giacinto d’acqua (Pontederia crassipes) che sta soffocando il lago Vittoria, nell’Africa orientale, alle zanzare (Aedes albopictus e Aedes aegypti) che trasmettono malattie infettive come dengue, West Nile, Zika e febbre gialla, ai ratti neri (Rattus rattus) che stanno sterminando gli uccelli nel Pacifico, il rapporto ha catalogato più di 37.000 specie aliene, di cui oltre 3.500 sono invasive. Oltre ai drammatici impatti su biodiversità e ecosistemi, il rapporto ha inoltre calcolato che il costo economico globale delle specie aliene invasive supera i 423 miliardi di dollari all’anno, quadruplicando ogni decennio dal 1970.
Specie aliene e specie invasive
Non tutte le specie aliene sono invasive, cioè in grado di insediarsi e diffondersi in un nuovo ambiente: circa il 6% delle piante aliene, il 22% degli invertebrati, il 14% dei vertebrati e l’11% dei microbi sono però invasivi, comportando gravi rischi per la natura e le persone, in particolare per le popolazioni indigene e le comunità che dipendono direttamente dalla natura. “Le specie aliene invasive sono state un fattore importante nel 60% delle estinzioni globali di animali e piante che abbiamo registrato, e l’unico fattore determinante nel 16% dei casi – precisano gli autori del rapporto – . Almeno 218 specie aliene invasive sono state responsabili di oltre 1.200 estinzioni locali. Nel complesso, l’85% degli impatti delle invasioni biologiche sulle specie autoctone sono negativi”.
Esempi di tali impatti includono il modo in cui i castori nordamericani (Castor canadensis) e le ostriche del Pacifico (Magallana gigas) modificano gli ecosistemi trasformando gli habitat, spesso con gravi conseguenze per le specie autoctone. “Quasi l’80% degli impatti documentati sulla natura sono negativi, soprattutto a causa dei danni alle riserve alimentari, come quello del granchio costiero europeo (Carcinus maenas) sui fondali commerciali di molluschi nel New England e il danno causato dalla falsa cozza caraibica (Mytilopsis sallei) a risorse ittiche di importanza locale in India”.
“Allo stesso modo – precisano gli esperti – l’85% degli impatti documentati influiscono negativamente sulla qualità della vita delle persone, ad esempio attraverso conseguenze sulla salute, compresa la diffusione di malattie come la malaria, Zika e la febbre del Nilo occidentale, trasmesse da specie di zanzare aliene invasive”.
La minaccia globale rappresentata dalle specie aliene invasive è tuttavia sottovalutata, sottostimata e spesso non riconosciuta. Più di un terzo delle 37.000 specie aliene oggi conosciute è stato infatti segnalato già dagli Anni 70, in gran parte a causa dell’aumento dei livelli di commercio globale.
“Troppo spesso ignorate fino a quando non è troppo tardi, le specie aliene invasive rappresentano una sfida significativa per le popolazioni di tutte le regioni e di ogni paese” evidenziano gli studiosi, osservando che “i loro impatti possono essere prevenuti attraverso una gestione efficace e approcci più integrati”.
Questi comprendono la prevenzione, che in assoluto è l’opzione migliore ed economicamente più vantaggiosa, ma “l’eradicazione, il contenimento e il controllo sono efficaci anche in contesti specifici – ha aggiunto il prof. Anibal Pauchard dell’Università di Concepción, in Cile, co-presidente del team di valutazione delle specie esotiche invasive insieme alla prof.ssa Helen Roy del Centro per l’ecologia e l’idrologia del Regno Unito – . La gestione può aiutare a mitigare gli effetti negativi di altri fattori di cambiamento e aumentare la resistenza degli ecosistemi alle future invasioni”.