Smog e inquinamento atmosferico, effetti sulla salute del cuore anche sotto la soglia d’allarme
Smog e aria inquinata aumentano significativamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e hanno effetti che persistono per almeno tre anni, con un impatto duraturo sulla salute del cuore. È quanto emerge dai risultati di un nuovo studio, pubblicato sul British Medical Journal nei giorni in cui in molte parti d’Italia, come a Milano e diverse province della Pianura Padana, sono scattate limitazioni del traffico e altri divieti, nel tentativo di ridurre i livelli di particolato fine (PM 2,5) in attesa delle piogge.
Secondo la nuova ricerca, anche chi vive in aree con concentrazioni di PM 2,5 al di sotto di 5 µg/m3, dunque inferiori alla soglia di sicurezza stabilità dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), ha una maggiore probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari (ischemie, aritmie e insufficienza cardiaca), come si evince “dai considerevoli aumenti del rischio di ricovero in ospedale” rilevati dalla ricerca. Ciò significa che, nonostante alti livelli di PM 2,5 siano ampiamente riconosciuti come un fattore di rischio primario per problemi alle vie respiratorie e malattie cardiovascolari, anche concentrazioni che non superano i limiti di sicurezza fissati dall’OMS potrebbero non essere sufficienti a proteggere la salute pubblica.
Gli effetti delle smog sulla salute del cuore
L’esposizione al particolato fine (PM 2,5) aumenta il rischio di ricovero in ospedale per malattie cardiovascolari, come ischemia, aritmia e insufficienza cardiaca. Lo ha scoperto un team di ricerca guidato dagli esperti della Harvard TH Chan School of Public Health di Boston, nel Massachusetts (Stati Uniti) che, nell’ambito di un’indagine condotta dal 2000 al 2016 su quasi 60 milioni di persone, ha riscontrato un aumento dei tassi di primo ricovero ospedaliero per malattie cardiovascolari già a concentrazioni di PM 2,5 inferiori alla soglia di sicurezza di 5 µg/m3 fissata dall’OMS.
Con la sigla PM 2,5 si intende il particolato fine, ovvero tutte quelle particelle o polveri sottili di diametro inferiore o uguale a 2,5 micron (circa un centesimo dello spessore di un capello umano) che restano sospese nell’aria e possono essere respirate, penetrando negli alveoli polmonari e nel sangue, e riuscendo a superare anche la barriera emato-encefalica. Le principali fonti di PM 2,5 legate all’attività umana sono i gas di scarico dei motori benzina o diesel, le emissioni dovute alle attività industriali e all’uso dei combustibili fossili per il riscaldamento domestico (carbone, legna e gasolio).
Per stimare la correlazione tra diversi livelli di particolato fine e rischio di ricovero per malattie cardiovascolari, gli studiosi hanno valutato il livello medio di esposizione al PM2,5 dei partecipanti allo studio, tutti beneficiari del programma di assicurazione sanitaria Medicare di età pari o superiore ai 65 anni, integrando le informazioni sulla loro residenza con i dati sulla concentrazione di inquinanti nell’aria, incluse le misurazioni satellitari e quelle ottenute dal monitoraggio sul territorio. Ciascun partecipante è stato seguito ogni anno, fino al primo ricovero ospedaliero per una delle malattie cardiovascolari prese in esame, oppure fino al decesso o alla fine del periodo di studio, nel 2016, a seconda di quale circostanza si fosse verificata prima.
Dall’analisi è emerso che l’esposizione media di tre anni a PM 2,5 è associata ad un aumento del rischio relativo di un primo ricovero ospedaliero per malattia cardiovascolare, secondo una curva esposizione-risposta che “è aumentata in modo monotono” spiegano gli autori della ricerca, suggerendo che “non esiste una soglia sicura per la salute cardiovascolare complessiva”. Nello specifico, rispetto all'intervallo di esposizione più basso (compreso tra 0 e 5 µg/m3), il rischio di ricovero ospedaliero aumentava già con esposizioni comprese tra 5 e 6 µg/m3, risultando più alto di 1,29 volte con esposizioni tra 9 e 10 µg/m3.
In termini assoluti, l’analisi ha indicato che il rischio di ricovero ospedaliero per malattie cardiovascolari è aumentato dal 2,59% con esposizioni a livelli di PM2,5 pari o inferiori 5 µg/m3 al 3,35% con esposizioni comprese tra 9 e 10 µg/m3. “La cardiopatia ischemica, la malattia cerebrovascolare, l’insufficienza cardiaca e l’aritmia hanno presentato gli aumenti più considerevoli del rischio assoluto di ricovero ospedaliero associato al PM 2,5” hanno precisato gli autori dello studio.
Dall’analisi, spiega il team, è inoltre emerso che l’effetto del PM 2,5 persiste per almeno per tre anni dopo l’esposizione, suggerendo un impatto duraturo sulla salute cardiovascolare. “I nostri risultati sono in linea con una recente review che ha riportato associazioni altamente comparabili tra l’esposizione a lungo termine al PM 2,5 e la mortalità per cardiopatia ischemica e malattie cerebrovascolari (aumento del rischio del 23% e del 24%, rispettivamente, per ogni aumento di 10 µg/m 3 nell'esposizione a lungo termine al PM 2,5 ) – hanno aggiunto gli studiosi – . I nostri risultati mostrano inoltre associazioni positive tra esposizione cronica a PM 2,5 e i rischi di insufficienza cardiaca e aritmia, indicando che in termini assoluti questi due sottotipi di malattie cardiovascolari sono quelli che tendono maggiormente a svilupparsi nelle persone esposte a PM2,5”.