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Scoperto legame tra l’Alzheimer e un’infezione intestinale provocata da un virus comune: speranze per cura

Ricercatori americani hanno trovato una forte associazione tra il morbo di Alzheimer e l’infezione intestinale da citomegalovirus, un patogeno comune che infetta l’80 percento della popolazione mondiale. Secondo gli autori dello studio, il virus risalirebbe fino al cervello attraverso il nervo vago, innescando così i processi di neurodegenerazione che portano alla demenza e al declino cognitivo. Fino al 45% dei pazienti con Alzheimer potrebbe essersi ammalati così. Una terapia antivirale potrebbe dunque prevenire la malattia. In programma nuovi studi per confermarlo.
A cura di Andrea Centini
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Sempre più studi stanno trovando forti associazioni tra la salute dell'intestino e lo sviluppo di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e l'Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo. Particolarmente coinvolto è il microbiota intestinale, dalla cui alterazione possono scaturire molteplici malattie, cancro compreso. Un nuovo studio ha appena aggiunto un altro, prezioso tassello a questa narrazione, che un giorno potrebbe sfociare in terapie antivirali in grado di prevenire la morte dei neuroni e il conseguente declino cognitivo. Nel caso specifico, i ricercatori hanno trovato un forte legame tra l'Alzheimer e un'infezione intestinale da citomegalovirus (CMV), un patogeno appartenente alla famiglia degli Herpesvirus “estremamente diffuso a livello globale”, come spiegato dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS). Si ritiene che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale (80 percento) venga a contatto con questo virus e risulti positivo agli anticorpi.

Analogamente ad altri virus dell'herpes, una volta contratto il citomegalovirus resta per sempre nel nostro organismo. In genere l'infezione viene tenuta a basa dal sistema immunitario, ma in caso di immunodepressione (che può avvenire per diverse ragioni, dall'HIV al trapianto di un organo, passando per la cura di un tumore) può innescare complicanze significative in diversi organi. Ciò che non sapevamo è che l'infezione intestinale provocata dal virus – che non è così comune come l'infezione generale – ha un fortissimo legame con il morbo di Alzheimer, o meglio con un suo sottotipo. Secondo gli autori dello studio, infatti, fino al 45 percento dei pazienti con Alzheimer potrebbe essersi ammalato a causa di questo patogeno. Il virus, infatti, sarebbe capace di risalire sino al cervello attraverso il nervo vago e innescare alterazioni biologiche in grado di catalizzare la neurodegenerazione, sfociando nella demenza.

A dimostrarlo è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati dell'ASU-Banner Neurodegenerative Disease Research Center – Biodesign Institute dell'Università Statale dell'Arizona, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di molteplici istituti. Fra quelli coinvolti la Divisione di Malattie infettive dell'Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York; il Dipartimento di Neurologia dell'Università del Massachusetts, il The Translational Genomics Research Institute di Phoenix e molti altri. I ricercatori, coordinati dal professor Benjamin P. Readhead, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver approfondito i risultati di un'altra ricerca pubblicata su Nature Communications, nella quale avevano dimostrato che nel cervello di pazienti deceduti con Alzheimer c'erano maggiori probabilità di avere un'espressione superiore del gene CD83, attivato dalle cellule della microglia, ovvero il sistema immunitario del cervello. Precedenti studi hanno dimostrato che un'eccessiva attivazione della microglia può innescare infiammazione e morte neuronale (neurodegenerazione).

Durante queste analisi gli studiosi si sono imbattuti in un peculiare anticorpo nell'intestino dei pazienti, che il nuovo studio ha determinato essere proprio relativo all'infezione da citomegalovirus. Prove della presenza di questo virus sono state trovate anche nel liquido spinale e sul nervo vago, l'"autostrada" che il patogeno utilizzerebbe per arrivare all'encefalo innescare la neurodegenerazione. La presenza di microglia CD83(+) è risultata essere associata a IgG4 e HCMV nell'intestino, così come alla presenza del virus e delle immunoglobuline IgG4 nella corteccia cerebrale e nel suddetto nervo.

In test di laboratorio con cellule umane, il professor Readhead e colleghi hanno dimostrato che l'infezione da CMV è in grado di catalizzare la produzione di beta-amiloide e proteina tau fosforilata, due “proteine appiccicose” che si accumulano nel cervello e fortemente associate alla demenza. Non a caso l'anticorpo monoclonale donanemab che le prende di mira, se somministrato nella fase precoce della malattia può rallentare la progressione dell'Alzheimer del 35 percento.

Riassumendo, i ricercatori ritengono che un sottotipo di Alzheimer possa essere causato proprio dall'infezione da CMV, col patogeno in grado di arrivare al cervello attraverso un nervo, scombinare l'azione della microglia e promuovere la formazione delle placche di proteine appiccicose nel cervello che determinano la neurodegenerazione con conseguente demenza. Questo significa che una terapia antivirale potrebbe prevenire questa forma di Alzheimer. I ricercatori sono già a "caccia" dei candidati per un prossimo studio di valutazione.

“Pensiamo di aver trovato un sottotipo biologicamente unico di Alzheimer che potrebbe colpire dal 25% al 45% delle persone affette da questa malattia”, ha affermato il professor Readhead in un comunicato stampa. “Questo sottotipo di Alzheimer include le caratteristiche placche amiloidi e gli ammassi tau, anomalie cerebrali microscopiche utilizzate per la diagnosi, e presenta un distinto profilo biologico di virus, anticorpi e cellule immunitarie nel cervello”, ha chiosato l'esperto. I dettagli della ricerca “Alzheimer's disease-associated CD83(+) microglia are linked with increased immunoglobulin G4 and human cytomegalovirus in the gut, vagal nerve, and brain” sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica specializzata Alzheimer's & Dementia: The Journal of the Alzheimer's Association.

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